Matteo parla della sua chiamata, del momento in cui, molti anni prima, ha incrociato lo sguardo del Nazareno che lo ha spinto ad abbandonare tutto ciò che pensava di avere, tutto ciò che con determinazione e violenza aveva conquistato. Quanta forza doveva esserci, e ancora c’è, in quello sguardo capace nel contempo di farti sentire non giudicato, amato, importante!
Proprio Levi, il pubblicano, il peccatore pubblico, guardato con odio e schifo dai devoti, veniva scelto dal profeta di Nazareth. E dopo trent’anni, ancora, Matteo ne parla, fa di quell’istante l’inizio della sua rinascita, il cambiamento inatteso e radicale della sua vita ormai diventata benedizione per sé e per gli altri.
E quella chiamata diventa contagiosa: invita i suoi amici, pubblicani e peccatori, a conoscere il Maestro che lo ha chiamato, che gli ha chiesto, ultimo fra gli ultimi, di diventare discepolo. Non si capacita, Matteo, dell’iniziativa di Gesù: lui, guarito dalla misericordia, racconta gli altri quanto gli è successo.
Così avanza l’annuncio del Vangelo: da bocca a orecchio, da storia a storia, da guarigione interiore a guarigione interiore, da compassione a compassione. E poco importa se i custodi di Dio, i difensori dei puri, gli avvocati dell’Altissimo, si innervosiscono per tanta audacia, per tanta sfrontatezza e contestano l’agire libero e liberante di Gesù: visto che si sentono sani non hanno nessun bisogno di ricorrere alle cure del medico che è Dio…
Ma se questa è la logica, perché ci ostiniamo ad apparire sempre migliori di quello che siamo veramente? Mistero dell’umana natura! Se Gesù ribadisce che Dio è il medico venuto per curare i malati, perché ci sforziamo, fingendo, di essere pieni di salute e di virtù mirabolanti?
Sì, Maestro, insegnaci oggi a capire cosa significa che chiedi misericordia, compassione, tenerezza e non sacrifici che tanto ci piace far finta di compiere! Insegnaci a riconoscere che siamo perduti, se tu non ci salvi.
✝️ Commento al brano del Vangelo di: ✝ Mt 9,9-13
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