Paolo Curtaz – Commento al Vangelo del 5 Settembre 2023

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A Nazareth la folla è rimasta scandalizzata da Gesù. Non per le sue parole ma perché è lui, il figlio del falegname, a proclamarle. Ma chi si crede di essere? A Cafarnao, invece, povero paese di pescatori diventato importante villaggio di confine, la folla rimane sbalordita dal suo insegnamento autorevole.

Quella parola che a Nazareth diventa occasione di polemica, qui è occasione di timore reverenziale, di sbalordimento ammirato. È un insegnamento che viene riconosciuto autorevole perché libera da ogni tenebra e senza fare del male. La stessa Parola la possiamo respingere, allontanare, farla diventare strumento di divisione e di polemica oppure accoglierla come Parola liberante e autorevole.

È il nostro cuore che ne attiva l’efficacia o la smorza, che la lascia fiorire o appassire, che la rende inutile o capace di convertire il nostro cuore. Per accogliere la potenza liberatrice della Parola dobbiamo prima allontanare la tenebra che talora ci abita e offusca il nostro giudizio. La guarigione dell’indemoniato nella sinagoga, primo miracolo certificato in Marco, apre una inquietante prospettiva.

Possiamo frequentare la liturgia, possiamo anche sapere chi è Gesù, ma questa fede è inutile, diabolica, cioè divisiva se non cambia la vita. Per il devoto indemoniato Dio è la rovina degli uomini non un prezioso alleato alla nostra felicità. Temo che se potessimo leggere i pensieri di quanti frequentano le nostre assemblee ritroveremmo in molti la stessa idea: Dio probabilmente c’è, meglio tenerlo buono, non si sa mai… Questa visione piccina e soffocante di Dio ci impedisce di farne esperienza gioiosa e di convertire i nostri cuori.

La parola, come una goccia sulla pietra, se accolta con onestà e senza pregiudizi può davvero scardinare le nostre piccole certezze su Dio. Ma questo passo lo possiamo fare solo noi perché sempre Dio rispetta la nostra libertà e mai forza le nostre decisioni.

FONTE: Amen – La Parola che salva

✝️ Commento al brano del Vangelo di:  ✝ Lc 4,31-37

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