Qual è il primo fra i 613 comandamenti? A tanti erano gonfiate le scarne e asciutte dieci parole che Dio diede a Mosè sul monte nel deserto. Domanda semplice, esigenza reale: saper distinguere il centro dalla periferia, l’essenziale dal relativo.
Molti Rabbì contemporanei di Gesù sostengono che bisogna amare il povero, l’orfano e la vedova, pupilla di Dio. O che bisogna amare tutti. Ma solo tutti coloro che appartengono al popolo di Israele. Il racconto della parabola del samaritano spiazza tutti. Un tale viene rapinato e ferito, l’unico che si occupa di lui è uno straniero, un extracomunitario, uno che non tira diritto.
Altri due scendono dalla capitale, bazzicano il Tempio, uno è prete e l’altro un cantore/lettore. Tirano diritto e fanno bene. Che ne sanno di chi è quel tale e cosa è successo? E se fosse un regolamento fra bande? E se avesse l’AIDS? E se i briganti tornassero? Hanno Dio nel cuore, sulle labbra, fanno discorsi sensati. Gesù non li biasima, né li condanna: sono figli del loro tempo. E del loro Tempio. Il prossimo è il samaritano. Un samaritano che scende per caso.
Non va a cercarsi la persona da aiutare, è la vita che ce la mette in mezzo ai piedi continuamente. Il samaritano vede un uomo, non un nemico, non uno dell’altra squadra. Un uomo che ha bisogno. E il suo è anzitutto un bisogno di compassione. Di patire insieme. Di condividere. E Gesù conclude: tu di chi vuoi essere prossimo? A chi vuoi avvicinarti?
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