Gran parte dei vangeli ambientano i discorsi di Gesù durante un pasto. Così accade anche qui, dopo la guarigione dell’idropico, in casa del fariseo che, con una buona dose di coraggio, ha invitato il discusso rabbino di Nazareth.
Il quale non perde l’occasione per pronunciare parole taglienti, quasi insostenibili, probabilmente colpito dall’atteggiamento di alcuni commensali che si spintonano per stare accanto al personaggio pubblico. Ci immaginiamo la scena: ci si spinge avanti per stare accanto all’ospite famoso, si spintona qualcuno e si spostano i bambini per farsi notare dal Papa (scena vista molte volte), si colleziona un selfie per uscire dall’anonimato deprimente in cui ci spinge il nostro tempo…
Salvo poi fare una magra figura, come annota il Maestro, quando veramente arriva qualcuno che merita di stare accanto all’ospite famoso. Curiamo ancora troppo l’apparenza, siamo ancora troppo appesi al giudizio degli altri, pensiamo di poter valere qualcosa solo se imitiamo gli stereotipi di un mondo chiassoso e ridanciano.
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Il Signore propone un approccio diverso, più sano: meglio rimanere umili, raccomanda Gesù, cioè defilati, disponibili, consapevoli di ciò che si è veramente, senza deprimersi, senza esaltarsi. Meglio non rimanere appesi alla fama, ai like, al plauso altrui, al giudizio sempre mutevole e ondivago dell’opinione, meglio concentrarsi sul modo che Dio ha di vederci, oltre l’apparenza.
Meglio sapere esattamente dove si è nel grande progetto di Dio che considera ognuno di noi come tassello prezioso di tale disegno, che cerca collaboratori, persone che vivano da amati, da salvati, da rendenti. Meglio essere centrati. Solo che, ancora oggi, molti discepoli interpretano l’umiltà come la depressione dei cattolici…
Dire non valgo nulla non è umiltà, ma offesa al capolavoro che sono e che Dio ha compiuto. L’umiltà, allora, che ha a che vedere con l’humus, è la concretezza che mi permette di essere fecondo, di fiorire.
FONTE: Amen – La Parola che salva