È una delle poche volte nei Vangeli in cui Gesù spiega una delle sue parabole. Parabole che, come dicevamo, bene illustrano lo stile di Dio che propone, senza obbligare, che indica, senza costringere. La parabola non impegna, non smaschera, rispetta l’uditore lasciandogli la scelta, se vuole, di identificarsi o meno in uno dei personaggi.
La parabola del seminatore per noi è chiara, ovviamente, ma solo perché portiamo nel cuore due millenni di meditazione, di analisi, di condivisione. Gesù, ai suoi prossimi, ai suoi discepoli, propone una vera e propria meditazione, non si accontenta di lasciar intendere, svela le sue intenzioni, la retta interpretazione del testo.
Il tema della parabola è, quindi, l’ascolto della Parola che Dio, continuamente e con abbondanza, semina nei nostri cuori. Chi ascolta e non capisce e non si preoccupa di capire, è come il seme che cade sulla strada indurita, sul cuore asfaltato dal dolore o dalla rabbia: allora l’avversario, che fa il suo mestiere, viene e porta via la Parola che, pure, in qualche modo potrebbe attecchire.
Succede così quando ci facciamo scivolare addosso la Parola (che Vangelo c’era domenica scorsa?), quando diventa una Parola inutile travolta dal chiacchiericcio quotidiano. Ci vuole coraggio a diventare uditori della Parola, e costanza e disciplina. A volte, invece, accogliamo la Parola che timidamente si fa spazio nei meandri della nostra quotidianità ma, alla fine, preoccupazioni e paura finiscono con lo spegnere la speranza.
Qual è il terreno che porta frutto, allora? E lo è in maniera esagerata? Vi dico una mia interpretazione: è terreno fecondo chi si è riconosciuto in uno dei precedenti, chi ha ammesso con verità e umiltà, che troppo spesso si lascia scippare la Parola dal demonio, che troppe volte è incostante e distratto e se ne rammarica.
Allora, se siamo veri, se vediamo quanto stiamo perdendo, se ci rendiamo conto di quanto perdiamo, diventiamo capaci di accogliere l’inaudito di Dio.
✝️ Commento al brano del Vangelo di: ✝ Mt 13,18-23
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