Anche noi saremmo rimasti storditi dalle parole del Signore, fidatevi. Il dialogo nato dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci ora è diventato rovente. Non si tratta solo di cercare un pane che sazia e questo pane è colui che il Padre ha mandato. Gesù chiede di mangiare la sua carne e bere il suo sangue per avere in noi la vita di Dio…
Prego? Cosa sta dicendo il Signore? Ci invita forse a praticare il cannibalismo? La comunità, anni dopo la resurrezione, rileggerà queste parole alla luce della cena del Signore e così possiamo accoglierle. Ma per i suoi contemporanei il linguaggio era ancora diverso: il sangue è il principio vitale degli esseri viventi, la carne la parte fragile dell’essere umano… Per accedere a Dio siamo chiamati ad avere in noi la vita stessa di Cristo senza scandalizzarci se Dio parla attraverso di lui, apparentemente fragile uomo come tutti noi. Ai giudei (e a coloro fra noi) abituati al meraviglioso, al miracoloso, un invito assolutamente destabilizzante…
Mangiare la sua carne, cioè accogliere la pochezza della sua manifestazione e bere il suo sangue, cioè attingere alla forza vitale del Signore, ci permette di essere innestati nella vita eterna, che è la vita di Dio, l’Eterno. E, profeticamente, il Signore conclude: chi mangia di me vivrà per me. Sì, è vero, e molti di noi lo possono testimoniare: segnato per sempre, ne è nutrito per sempre. Non guarisce più colui la cui malattia è Cristo.
E la comunità apostolica, prima, e la riflessione liturgica, spirituale e teologica poi, hanno identificato nella cena del Signore, nel pane e nel vino, quella carne e quel sangue di cui Gesù parla. Nutrirci dell’eucarestia, della Parola, celebrare la presenza del risorto nella cena, ci permette di dimorare in Cristo, di rimanere in lui, di crescere nella conoscenza di Dio, non come sforzo intellettuale o devoto, ma come esperienza quotidiana di vita.
✝️ Commento al brano del Vangelo di: ✝ Gv 6,52-59
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