Gesù ci propone un criterio molto interessante e importante per relazionarci con gli altri, soprattutto nei confronti dei fratelli di fede: non chiedere agli altri di fare cose che noi per primi non facciamo, non imporre agli altri fardelli e pesi che noi per primi non portiamo.
Così è interessante, nelle nostre relazioni con le persone che sono ai margini della Chiesa o che se ne sono sentiti allontanati, il fatto che possiamo veramente chiedere agli altri di fare quello che noi facciamo, di fare un chilometro se lo facciamo anche noi con loro, di rinunciare a certi atteggiamenti se noi per primi lo abbiamo fatto.
Gesù ci richiama a non diventare dei maestri, dei saputelli, dei professorini, che dall’alto della propria coerenza indicano agli altri quello che devono fare, ma, come ricorda Gesù, uno solo è il nostro Padre e noi siamo tutti fratelli, cioè tutti cercatori di Dio, tutti mendicanti, tutti sulla stessa strada.
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In questo modo, certo, è diverso avere accanto una persona che con te fa un pezzo di strada consapevole del proprio limite e che non ti giudica, rispetto invece a qualcuno che dall’alto della sua – non si capisce bene come – vantata superiorità ti giudica e ti guarda dall’alto in basso…
Questo è l’atteggiamento che Gesù ha vissuto nei nostri confronti e che noi, in qualche modo, dobbiamo vivere con i fratelli: la capacità di portare insieme il peso della vita, sapendo bene che Gesù per primo lo ha portato e il suo giogo è soave e il suo peso è leggero.
La Chiesa è (dovrebbe essere) la comunità dei figli, dei perdonati, dei peccatori in cambiamento, non la comunità dei giusti, dei bravi ragazzi, dei perfettini. Ed è la compassione il cuore del nostro cammino, la gioia del perdono, l’ebbrezza della grandezza di Dio.
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Lui è al centro del nostro cammino e della nostra ricerca, non il nostro ego spirituale che vuole dimostrare di essere straordinariamente diverso dalla massa di pecoroni.
FONTE: Amen – La Parola che salva – Il blog di Paolo
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