Siamo chiamati a vegliare in attesa della venuta del Signore. Quella definitiva nella gloria, certo ma, anche, quella quotidiana: la sua presenza nel nostro cuore, nella nostra anima. Vegliare perché la vita appesantisce il cuore, offusca lo sguardo interiore, lo sappiamo bene.
E oggi con tutte le distrazioni, il caos, la confusione, il rischio, diventa difficile anche solo accorgersi di avere un’anima! Non siamo persone particolarmente malvagie (mediocri come peccatori, siamo onesti), ma distratti sì. Abbiamo accolto il Vangelo, ci ha scosso i cuori, spianato strade inattese, cambiato la vita. In teoria.
In pratica le ansie della vita e le preoccupazioni, i sensi di colpa, gli eventi negativi quella fede la mettono a dura prova, la spingono in un angolo, la anestetizzano. Fa bene, allora, il Signore, a richiamare alla vigilanza. E leggendo questo testo ostico e inatteso sulle labbra di Gesù, stridente con la tenerezza dell’evangelista Luca, istintivamente pensiamo che stia parlando agli altri, ai tanti senza-Dio che incontriamo.
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Perché io, modestamente, con fatica ma ci provo a vegliare. Così deve avere pensato Pietro, rassicurato di essere da tempo nel gruppo dei discepoli. Tenero… E il Signore richiama lui e noi ad una verità scomoda: proprio noi che abbiamo ricevuto di più, che abbiamo conosciuto la bellezza della Parola rischiamo di addormentarci, di sederci, di abituarci.
Se l’invito a vegliare è per tutti, per noi è molto più forte e vincolante. Ci è stato dato tanto perché portiamo molto frutto. Essere discepoli, avere seguito il Signore, non diventa un posto fisso, un lavoro a tempo indeterminato.
Altrimenti corriamo il rischio di diventare dei burocrati dell’anima, facciamo quanto ci è chiesto, andiamo a messa, preghiamo, siamo oggettivamente migliori dei tantissimi che incontriamo ogni giorno. Vero, per carità, ma viene a mancare il fuoco, la passione, la gioia che evangelizza. Niente tiepidezza e scuse.
Vegliamo, anche se il sonno incombe.
FONTE: Amen – La Parola che salva