Lo seguono da due anni. Ascoltano le sue parole, hanno visto i segni che ha compiuto, ne hanno osservato, ammirati e scossi, l’intensa vita di preghiera, la bontà di cuore, la forza interiore.
Hanno camminato con lui, e pranzato e dormito all’addiaccio. Ora è tempo di osare, di mettere le carte in tavola, di mettersi in gioco, infine.
Chi sono per te? Pietro risponde: sei l’atteso di Dio. La sua è una sconcertante professione di fede: nulla faceva pensare che quel falegname di Nazareth fosse il messia trionfante atteso da Israele. E Gesù spiega a Pietro, e a noi, cosa significa per lui essere Messia: raccontare il vero volto di Dio, riportare la fede sui binari della Scrittura, ricondurre Israele al Dio dell’alleanza, costi quel che costi, disposto a soffrire e a morire per annunciare il Padre. Nessun trionfalismo, nessuna gloria, nessuna potenza in Gesù.
Per lui essere Messia significa farsi servo della Parola che conduce a Dio. Fino a morirne.
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