Siamo in attesa del ritorno dello sposo e lo facciamo vegliando nella notte. Siamo in attesa della pienezza dei tempi, del ritorno del padrone dell’universo che è tornato dal padre e tornerà nella gloria. E in questo tempo di mezzo, fra la sua venuta nella storia e il suo ritorno nella gloria, ha affidato alle nostre fragili mani il compito di costruire il regno.
Ma ci ha lasciato tutto ciò che è necessario per poterlo fare, una ricchezza enorme che ci è stata affidata secondo le nostre capacità. Sa bene chi siamo, il Signore, dà a ciascuno secondo la sua necessità. E ciò che dà è enorme: il talento è un’unità di misura fra i venti e i venticinque kg di metallo prezioso: al tempo di Gesù con un talento d’argento si noleggiava una barca triremo con relativo equipaggio per un mese!
Ma i talenti della parabola, diversamente da quanto intendiamo nel linguaggio comune, non sono le nostre capacità ma quanto il risorto ha lasciato alla sua comunità: lo Spirito, la Parola, i Sacramenti, i fratelli.
Ci interroghiamo su quanto abbiamo investito in questi talenti perché, come le vergini stolte, corriamo il rischio di non occuparcene. Mi sembra ingiusto e offensivo lamentarci della situazione delle nostre comunità quando per anni abbiamo sotterrato i talenti. Esiste un modo orribile di rappresentarci Dio e di vivere la fede nella paura del giudizio, e il servo stolto che ha sepolto il talento per paura finirà con l’incontrare un Dio spaventoso.
Non così per noi discepoli del Dio felice che ci vuole felici, che si fida di noi, che ci affida la preziosa parola del vangelo. Prendiamo molto sul serio quanto Dio ci chiede di fare sapendo che siamo servi inutili che Dio rende necessari, che non siamo un’azienda, che non valutiamo i risultati secondo una logica mondana. Sono finiti i tempi di una religiosità diffusa e condivisa, ora è il tempo di piccole comunità fedeli e credibili che sanno bene in chi hanno posto la loro fiducia.
FONTE: Amen – La Parola che salva
✝️ Commento al brano del Vangelo di: ✝ Mt 25,14-30
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