Possiamo sprecarne, di parole, quando preghiamo. Fiumi di parole che cercano, invano, di attirare l’attenzione di un Dio distratto. Parole che abbiamo mandato a memoria, formule che ci provengono dal passato, ricordi dell’infanzia quando alla sera ci si chiedeva: hai recitato le preghiere?
Parole speciali, di nicchia, riservate, immaginiamo, al mondo del sacro, pronunciate con qualche sfumatura di superstizione… E poi ci sono le parole. Quelle che Gesù ci ha consegnato per andare dritti al cuore di Dio. Quelle dei figli che riconoscono in Dio un padre premuroso e nascosto.
Che vorrebbero che altri lo conoscessero, che il suo Regno di giustizia di manifestasse, convinti che la sua è una volontà di bene. Quelle che chiedono il pane giorno per giorno, il perdono e la capacità di perdonare, e la capacità di resistere nella prova.
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