Il vangelo di Marco, il primo a essere stato scritto, si è concluso in maniera troppo brusca, quasi traumatica: all’annuncio del giovane (non un angelo) al sepolcro le donne sono fuggite impaurite, senza dire niente a nessuno. Probabilmente, ci dicono gli esegeti, l’evangelista affida al giovane, lo stesso presente al Getsemani, quello fuggito nudo, il compito di annunciare il risorto.
Il giovane che viene identificato col lettore del vangelo, cioè noi, come a dire: sta a te, ora, dire di Dio, diffondere il vangelo. Tant’è: le donne, quindi scappano impaurite e tacciono, cosa che evidentemente non è veramente accaduto visto che, qualche anno dopo, su suggerimento di Pietro, proprio il giovane Giovanni Marco si è messo a scrivere la vicenda di Gesù dal battesimo alla resurrezione.
Ma quel finale appariva a molti come incompleto e disturbante; così qualche anima pia ha pensato di aggiungere una postilla al primo vangelo, riassumendo le apparizioni del risorto diventate ormai patrimonio condiviso della prima comunità. Ed è un riassunto che sottolinea la fatica fatta dai discepoli a credere all’annuncio della resurrezione, cosa che avvalora la veridicità del racconto: chi di noi scriverebbe un libro in cui racconta le sue brutte figure?
Ma gli apostoli ammettono che loro per primi hanno dovuto convertirsi alla gioia del risorto abbandonando il crocefisso e che questa conversione ha richiesto tanta fatica e del tempo. E se hanno faticato i primissimi discepoli non dobbiamo temere se, di tanto in tanto, anche noi, apprendisti cristiani, stagisti di Dio, fatichiamo a credere, sballottati come siamo dai marosi del dubbio. Se volete svuotare il cristianesimo dal di dentro, negate la resurrezione, fatela diventare un evento simbolico, mitico, non certo reale…
E invece, con ostinazione, la notizia che la morte non ha potuto fermare Gesù, resuscitato dal Padre e costituito Signore, ha raggiunto noi, oggi. Non abbiamo paura: Gesù è veramente risorto!
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