Oggi la festa dell’esaltazione della santa croce sostituisce la domenica. È una festa nata dal ritrovamento della regina Elena, madre dell’imperatore Costantino, primo imperatore convertitosi alla fede, del luogo della crocifissione a Gerusalemme.
La croce non è da esaltare, la sofferenza non è mai gradita a Dio, toglietevela dalla testa, subito, quella tragica inclinazione all’autolesionismo che troppe volte crogiola il cristiano nel proprio dolore pensando che questo lo avvicini a Dio. Religione che rischia di fermarsi al venerdì santo la nostra, perché tutti abbiamo una sofferenza da condividere e ci piace l’idea che anche Dio la pensi come noi.
No, lo ripeto alla nausea: la felicità cristiana è una tristezza superata, una croce abbandonata perché ormai inutile e questa croce vuota – oggi – viene esaltata. La croce non è il segno della sofferenza di Dio, ma del suo amore. La croce è epifania della serietà del suo bene per ciascuno di noi.
Fino a questo punto ha voluto amarci, perché altro è usare dolci e consolanti parole, altro inchiodarle a tre chiodi sospese fra cielo e terra. La croce è il paradosso finale di Dio, la sua ammissione di sconfitta, la sua ammissione di arrendevolezza: poiché ci ama lo possiamo crocifiggere.
Esaltare la croce significa esaltare l’amore, esaltare la croce significa spalancare il cuore all’adorazione allo stupore.
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Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 3, 13-17
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Parola del Signore