Un po’ è inevitabile, e anche divertente in una certa misura. La donna che, affascinata e piena di zelo, interrompe il Signore per manifestare un po’ di invidia per la donna che ha avuto l’onore di averlo come figlio, manifesta tutto il suo femminile cuore di mamma. E Gesù, tenero, la invita a superare l’emozione e lo stereotipo per indicare una nuova via di relazione: quella che supera la famiglia e la logica del clan per formare la comunità dei discepoli.
Ascoltare la Parola di Dio e viverla ci pone nella felice condizione di appartenere (almeno negli intenti del Signore) ad una nuova famiglia che supera i legami di sangue e di parentela per riconoscerci tutti amati e capaci di amare. Se abbiamo avuto un’esperienza famigliare faticosa o l’abbiamo costruita o non siamo riusciti a costruirla e ci troviamo soli, invece di consumarci nel vittimismo e nella disperazione, proviamo ad aprirci alla felice novità del Regno.
Beati noi uditori della Parola! Da questo punto di vista, il Vangelo è destabilizzante perché invece di inneggiare alla famiglia ne indica anche i limiti e propone un nuovo modello di relazione: quello del discepolato in cui non sono i legami di sangue a creare una appartenenza ma la comune esperienza di sapersi amati da Cristo.
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Ed è talmente vera e forte questa appartenenza, che, da sempre ci sono uomini e donne sedotti da Cristo che lasciano le proprie famiglie o rinunciano a quelle che avrebbero potuto formare per assecondare la totalizzante esperienza dell’essere suoi.
Parola consolante, che ci ricorda che ogni realtà umana è e rimane realtà penultima. Parola incoraggiante per i molti fra noi che della famiglia hanno fatto esperienza negativa e dolente. Senza cercare facili scorciatoie, senza fare le vittime, possiamo costruire relazioni legate alla Parola molto più intense e autentiche di quelle che a volte sperimentiamo nelle nostre famiglie.
Forse proprio da qui possiamo rivitalizzare le nostre stanche comunità.
FONTE: Amen – La Parola che salva