Sono tornati a pescare sul lago di Tiberiade. L’ultima volta erano stati chiamati da quel nazareno perdigiorno che aveva chiesto loro di lasciare tutto, E lo avevano fatto. Quante cose erano accadute da quel giorno! Quanta gioia! Quanta speranza! E quanto dolore nei giorni drammatici di Gerusalemme! Ma le cose, ora, sono cambiate: le donne hanno detto che egli è vivo e di precederlo in Galilea.
Solo uno di loro sembra essere assente: Pietro, Il tradimento lo ha devastato ed è come se la resurrezione non lo riguardasse. Torna a pescare, come a chiudere una parentesi di illusione. L’ultima volta, tre anni prima, aveva incontrato sulla riva quel perdigiorno che parlava del Regno di Dio. Torna a pescare; come a dire: fine dell’avventura, della parentesi mistica, si torna alla dura realtà. Alcuni discepoli — teneri! — lo accompagnano sperando di risollevargli il morale.
E invece nulla, pesca infruttuosa: il sordo dolore di Pietro allontana anche i pesci. Come accade anche a noi se, annunciando il Vangelo, mettiamo il dolore al centro. Ma Gesù, come spesso accade, aspetta Pietro alla fine della notte. Gesù ci aspetta sempre alla fine della notte. Di ogni notte. Il clima è pesante. Nessuno fiata mentre riassettano le reti. Un silenzio rotto solo da quel rompiscatole che si avvicina per attaccare bottone e chiede notizie sulla pesca.
Nessuno ha voglia di parlare, la schiena curva, il capo chino, il cuore asciutto e sanguinante. Ma quel perditempo insiste, proprio la persona sbagliata al momento sbagliato. Come accade anche a noi quando vorremmo annegare nel dolore e dobbiamo intrattenerci in una conversazione inutile e frivola. Finché. <<Riprendete il largo e gettate le reti>>, dice il camperista. Tutti si fermano.
Andrea guarda Giovanni che guarda Tommaso che guarda Pietro. Come, scusa? Cos’ha detto? Cosa? Le stesse parole pronunciate dal falegname di Nazareth, tre anni prima. Nessuno fiata, riprendono il largo, gettano le reti dalla parte debole e accade. Nessuno osa parlare. Ma sanno. Sanno. Sanno. È lui.
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