Il vangelo ci illustra il modo di gestire i nascenti conflitti nella comunità primitiva: passato l’entusiasmo dell’adesione al Rabbì, allora come oggi sorgevano i problemi di dialogo e di comprensione col rischio di gesti estremi (magari in nome del vangelo!).
La prassi proposta da Gesù è piena zeppa di buon senso: discrezione, umiltà, delicatezza verso chi sbaglia, lasciandogli il tempo di riflettere, poi l’intervento di qualche fratello, infine quello della comunità.
Se noi, discepoli del Misericordioso, non sappiamo avere misericordia, chi mai ne sarà capace? Se coloro che hanno avuto il cuore riempito dalla nostalgia di Dio non sanno cogliere dietro ogni errore un percorso verso la pienezza, chi ne sarà capace? Se noi, che ancora portiamo il profumo dell’olio della consolazione sulla nostra pelle, non sappiamo chinarci sul fratello ferito come Cristo buon samaritano si è chinato su di noi, chi saprà farlo? Il criterio del Vangelo è pieno di amorevole buon senso: ti voglio bene al punto che, dopo aver pregato, ti chiedo di interrogarti sui tuoi atteggiamenti.
La franchezza evangelica è un modo concreto di amare, di essere solidali, anche con durezza, come ha fatto Gesù con la Cananea e con Pietro. Nelle nostre comunità abbiamo bisogno di scoprire questo modo concreto di intervenire, di prendere a cuore il destino dei fratelli, senza nasconderci dietro un ipotetico rispetto che non ci interpella e lascia il fratello nella propria inquietudine.
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