Una donna che soffre di perdite da dodici anni. Una ragazza di dodici anni che sta morendo. Dodici, in Israele, è il numero della pienezza. Un dolore compiuto, traboccante: una donna che, a causa delle leggi sulla purezza che vietano di toccare una donna mestruata non riceve un abbraccio da dodici anni, una adolescente che non vedrà mai lo sbocciare della vita.
Ma il datore di vita rimette le cose al loro posto, ricuce gli strappi, restituisce a vita nuova. La vita dona vita, l’amore ricrea amore. Non è l’emorroissa a contaminarlo, è lui che la guarisce. E la fanciulla non è morta, ma dorme. Facciamo tacere tutti i canti di lamento, allora, perché irrompe nella nostra vita il Dio della vita e la riempie di stupore.
Non perdiamo più energia, vita, a rincorrere apprezzamenti, attenzioni, approvazione, dissanguandoci. Non lasciamo morire il fanciullo e la fanciulla che ci abitano e che tanto ci hanno donato. È qui il Dio della vita. Ed è il nostro Dio.
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