Rimetti a noi i nostri debiti
Dicono Matteo (6, 12): “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettano ai nostri debitori” e Luca(11, 4): “perdonaci i nostri peccati perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore”. Ribadisce San Paolo (Rom. 13, 7 – 8): “rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse, le tasse; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto”. Abbiamo dunque dei doveri da compiere non solo nel dare ma anche nel parlare con benevolenza e nel compiere certe buone azioni. Dobbiamo, inoltre, avere una speciale disposizione verso gli altri. Assolviamo questi debiti con l’osservanza della legge divine; altrimenti rifiutiamo di pagarli, restando così debitori.
Consideriamo poi, a proposito dei debiti contratti, anche i nostri fratelli in Cristo, rinati come noi nell’ascolto della Parola ed i nostri fratelli di sangue. Ci sono poi i debiti verso i concittadini e, più in generale, verso tutti gli uomini; debiti verso i nostri ospiti e verso gli anziani ed ancora verso coloro che dobbiamo venerare come figli o fratelli. Chi non si scioglie dai debiti verso i propri fratelli resta loro debitore; se poi il debito non assolto consiste in un obbligo prescritto dallo spirito di carità e di misericordia, allora restiamo ancora più debitori. Possiamo anche essere debitori verso noi stessi: verso il nostro corpo se ce ne serviamo per avvilirlo a forza di piaceri, verso la nostra anima se non badiamo a mantenere desta la sensibilità del nostro spirito ed a rendere cordiale e caritatevole il nostro linguaggio, sottraendolo ad ogni discorso vacuo. Gravandoci di debiti verso noi stessi, aggraviamo la nostra colpa.
Ma l’importante è non rimanere debitori di Dio! Noi, . infatti, che siamo sue creature dobbiamo amarlo con tutte le nostre forze e con tutta la nostra anima; se così non facciamo diventiamo suoi debitori, peccando contro di Lui. A questo punto chi pagherà per noi? Dice, infatti, la Scrittura: “se un uomo pecca contro un altro uomo, Dio potrà intervenire in suo favore, ma se l’uomo pecca contro il Signore, chi potrà intervenire per lui?” (1 A Sam. 2, 25). Noi siamo debitori anche verso Cristo che ci ha riscattati con il proprio sangue allo stesso modo in cui gli schiavi, affrancati dalla schiavitù con una somma di denaro, diventavano debitori dei loro padroni. Siamo altresì debitori verso lo Spirito Santo ogniqualvolta lo rattristiamo e, peccando, non cogliamo i suoi frutti necessari alla vita della nostra anima. Siamo anche debitori verso il nostro angelo custode: per usare una similitudine noi, ogni volta che offriamo agli altri un’immagine non rispondente a quella del vero cristiano, siamo un pò come quell’impresario teatrale che, dopo aver promesso al pubblico una certa rappresentazione, non è in grado di offrirla, attirandosi in tal modo lo scherno e le proteste della gente. Altrettanto avviene per noi che, nonostante gli insegnamenti della Sapienza divina, non siamo in grado di dare al mondo quello che, a nostra volta, abbiamo ricevuto. Al di fuori di questi debiti universali, ci sono quelli della vedova, di cui la Chiesa prende cura e quelli del diacono, del prete e del vescovo, assai pesanti, tanto che, se non vengono assolti, Gesù Cristo li esige dalla Chiesa intera. L’Apostolo Paolo ha anche parlato di un debito comune al marito ed alla moglie, per cui il primo deve adempiere il suo dovere verso la seconda e viceversa (1 A Cor. 7, 3), senza ingannarsi vicendevolmente.
In conclusione, ognuno può fare il bilancio dei suoi debiti ed aggiungo, a questo proposito, che la coscienza di ciascuno è gravata da tutto ciò che non viene scontato così come è alleggerita da quanto viene saldato. Fin tanto che noi siamo in vita non c’è un’ora del giorno o della notte in cui non siamo debitori.
Sulla terra quando qualcuno ha un debito o lo salda o non lo salda; ci sono alcuni che non contraggono mai alcun debito, altri che saldano la maggior parte dei loro debiti, altri che si sdebitano solo in minima parte ed altri ancora che restano debitori in tutto. Ma colui che fa fronte ai suoi debiti potrebbe aver bisogno a volte di un pò di respiro in presenza di qualche difficoltà ad assolvere un suo debito; lo otterrà solo se si è sempre sforzato di pagare le sue obbligazioni alle scadenze stabilite.
Tutte le cattive azioni da noi compiute sono in realtà degli atti che compiamo contro di noi: infatti saremo giudicati sulla base di questi. I nostri debiti non onorati sono iscritti sul libro che verrà prodotto quando “ci presenteremo al tribunale di Dio” (Rom. 14, 10) “ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo … ” (2A Cor. 5, 10). Dice, a proposito dei debiti, il Libro dei Proverbi (22, 26 – 27): “non essere di quelli che si fanno garanti e che si impegnano per debiti altrui, perché, se poi non avrai da pagare, ti si toglierà il letto di sotto a te”.
Noi però non siamo soltanto debitori ma anche creditori. Tra gli uomini alcuni ci sono obbligati in quanto tali, altri per il nostro titolo di cittadini, di padri o di figli; le spose ci sono obbligate in quanto siamo i loro mariti; i nostri amici ci sono obbligati a titolo di reciprocità. Ebbene, con questi nostri debitori comportiamoci con umanità, non dimenticandoci di tutti i debiti che abbiamo verso gli uomini e verso Dio e che magari non abbiamo assolto. Ricordando le obbligazioni che non abbiamo saldato e le frodi commesse nel passato a danno del nostro prossimo che magari non abbiamo scontato, saremo più indulgenti verso i nostri debitori che omettono di onorare i loro debiti. Ma soprattutto non perderemo la memoria delle colpe commesse nei riguardi di Dio, parlando male della Sua grandezza, misconoscendone la verità o mormorando contro di Lui, per impazienza, nelle avversità.
Se saremo duri con i nostri debitori, finiremo per condividere la sorte di quell’uomo che, pur avendo avuto condonato il suo grosso debito dal Padrone, fu spietato nei confronti del suo amico che gli era debitore di una piccola somma. Il Padrone lo fece legare, imprigionare fino a che non gli avesse restituito quanto gli doveva. “Così anche il Padre mio” conclude il Vangelo di Matteo “farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello” (Mt. 18, 23 – 35).
Dobbiamo perdonare anche coloro che affermano di pentirsi delle colpe commesse contro di noi, anche in caso di recidiva. Dice infatti il Signore: “Se un tuo fratello … pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: mi pento, tu gli perdonerai” (Le. 17, 4).
Non tocca a noi infatti essere duri contro coloro che non si pentono, tanto. più che con il loro peccato nuocciono soprattutto a se stessi: “chi rifiuta la correzione, disprezza se stesso” dice Dio nel Libro dei Proverbi (l.5}32); abbiamo piuttosto cura di costoro: essi sono in uno stato di perversione tale da essere accecati; la loro cattiveria li stordisce più dannosamente del vino.
Sia Matteo che Luca esprimono lo stesso concetto anche se il primo non sembra dar rilevanza al caso di colui che vuole perdonare solo i peccatori ravveduti. In realtà Luca dice: “perdonaci per i nostri peccati perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore”, Noi quindi abbiamo da Dio il potere di perdonarci le colpe a vicenda: quindi il perdono che possiamo elargire ai nostri fratelli è generale, senza limitazione alcuna.
Colui che agisce sotto l’impulso di Gesù e che, pieno di Spirito Santo, dà frutti di vita eterna e compie le opere di un figlio di Dio, costui, dico, rimette al suo prossimo ogni peccato, allo stesso modo con cui la misericordia di Dio tutto rimette; solo le colpe irremissibili, rimarranno non rimesse. Costui è al servizio di Dio e, come i profeti, rende manifesta al mondo la volontà di Dio.
Ecco come Giovanni, nel suo Vangelo, riferisce del potere che Gesù aveva dato agli apostoli di rimettere i peccati: ” … alitò su di loro e disse: ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv. 20, 22 – 23). Occorre avere discernimento per poter comprendere rettamente queste parole: infatti, qualcuno potrebbe rimproverare gli apostoli di non aver rimesso interamente i peccati a tutti, così da rendere tutti gli uomini liberi; si potrebbero incolpare, infatti, di aver ritenuto alcuni peccati, sebbene anche lo stesso Dio li avrebbe a sua volta ritenuti.
La legge ci fornisce a questo proposito un esempio ideale per mostrare come sia Dio a rimettere i peccati, sia pure servendosi degli uomini. La legge, infatti, proibisce al sacerdote di offrire sacrifici per alcuni generi di peccati: l’adulterio, l’omicidio ed altri peccati gravissimi. Gli apostoli ed i loro successori sanno perfettamente per quali colpe, in quale tempo ed in quale modo occorre offrire il sacrificio e per quali altri, invece, sia necessario astenersi dal sacrificio. Il sacerdote Eli, di fronte alla colpa dei suoi due figli, Finee e Ofni, sa perfettamente che è impossibile venire in loro aiuto per rimettere la colpa. E lo attesta dicendo: “se un uomo pecca contro un altro uomo, Dio potrà intervenire in suo favore, ma se l’uomo pecca contro il Signore chi potrà intercedere per lui?” (2^ Sam, 2, 25).
Come è possibile, allora io mi domando, che ci siano alcuni sacerdoti che osano rimettere i peccati di adulterio e di fornicazione, come se la preghiera da loro pronunciata sugli autori di simili crimini potesse cancellare i peccati mortali. Non c’è dubbio che essi ignorano la parola:
“c’è un peccato che conduce alla morte; per questo dico di non pregare” (l” Gv. 5, 16). Ricordiamo quello che disse Giobbe offrendo il sacrificio per i suoi figli: “Forse i miei figli hanno peccato ed hanno· offeso Dio nel loro cuore” (Gb. 1, 5); anche se il peccato dal cuore non è ancora arrivato alle labbra, Giobbe, nel dubbio, offre sacrifici di espiazione a Dio.
E non sottometterci alla tentazione ma liberaci dal male Nel Vangelo di Luca mancano le parole “liberaci dal male”. Se il Signore non ci fa chiedere l’impossibile è bene comprendere in che senso dobbiamo pregare di non essere sottomessi alla tentazione, quando la vita dell’uomo è una continua tentazione. Fintanto che saremo quaggiù nel mondo, legati ad un corpo corruttibile in lotta con lo spirito, saremo sempre soggetti alle tentazioni della carne: “tutta la vita dell’uomo non è forse tentazione?” afferma Giobbe; nel Salmo 17 (vers. 30) troviamo scritto: “con te mi lancerò contro le schiere, con il mio Dio scavalcherò le mura”, cioè sarò liberato dalla tentazione; ed ancora San Paolo, nella 1 A lettera ai Corinzi (10, 13), proclamando la fedeltà di Dio, non dice che non saremo tentati, ma che la misericordia divina impedirà che ci colpiscano tentazioni superiori alle nostre forze: ” … con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla”.
Noi non siamo esenti dalle tentazioni: dobbiamo, infatti, lottare contro la carne che è piena di bramosie e combatte lo spirito e contro il cuore che è l’anima di ogni carne e abita nel corpo. Può darsi, però, che come atleti in perfetta forma, ·siamo usciti vincitori dalle lotte contro la carne ed il sangue ed abbiamo sconfitto le tentazioni; ma anche in questo caso la nostra lotta sarà contro i Principati, le Dominazioni, i principi di questo mondo, cioè contro gli spiriti del male.
In che senso dunque Gesù può invitarci a domandare di non entrare in tentazione quando sa benissimo che è Dio che mette alla prova gli uomini? Rammentatevi, ricorda Giuditta, delle tentazioni di Abramo, di Isacco e di Giacobbe quando pascolava le pecore: Dio le mandò loro per purificare i loro cuori; non per perderli, quindi, ma per salvarli (Giud. 8, 22 – 27).
Afferma, a questo punto, Davide: “Molte sono le sventure del giusto, ma lo libera da tutte il Signore” (Sir. 33, 20); e ancora, San Paolo negli Atti ribadisce che è necessario passare attraverso molte tribolazioni per poter entrare nel regno di Dio (Atti 14, 22).
Se continuiamo a seguire l’interpretazione comune, allora dobbiamo sostenere che gli stessi Apostoli non furono esauditi quando pregavano Dio che li esentasse dalle tentazioni; essi, infatti, incontrarono moltissime sofferenze nel corso della loro esistenza: fatiche, incarcerazioni, battiture e, a volte, anche la morte. Paolo, per esempio, ricevette per cinque volte i 35 colpi, per altre tre volte fu fustigato, fu lapidato, per tre volte fece naufragio, gli accadde di restare in balia delle onde per un giorno ed una notte (2A Cor. 11, 24 – 25). Eppure, nonostante queste contrarietà, l’Apostolo pur affermare: “siamo stati tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi” (2A Cor. 4, 8 – 9). Se quindi gli stessi Apostoli non sono stati esauditi nella preghiera, quale speranza abbiamo noi, che non siamo neppure lontanamente paragonabili a loro, di veder ascoltate le nostre preghiere?. ,
Sta scritto nel Salmo (25, 2): “Scrutami, Signore e mettimi alla prova, raffinami al fuoco il cuore e la mente”. Se qualcuno non fa bene attenzione alla raccomandazione di Gesù nel “Padrenostro”, troverà queste parole del Salmo 25 addirittura contrarie a quelle proferite nella preghiera. Chi potrà, infatti, immaginare gli uomini sottratti alle tentazioni e sapere fino a che punto la loro misura sia colma? E quando, l’uomo è al sicuro dal peccato senza alcuno sforzo? Tu sei povero? Ebbene, non pronunciare il nome di Dio invano! (Pro. 30, 9). Sei ricco? Ebbene, attento a non crederti al sicuro per questo ed a non montare in superbia: lo stesso Paolo, ricco dei doni dello Spirito Santo, fu tentato di innalzarsi al di sopra degli altri ed ebbe bisogno dello stimolo di Satana, incaricato di schiaffeggiarlo, per non inorgoglirsi. A proposito del montare in superbia, andiamo a leggerci; nel 2° Libro delle Cronache (32, 25 – 26), la storia di Ezechia e dei suoi rapporti con Dio. Noi, fino a questo punto, non abbiamo parlato molto dei poveri: forse perché la povertà poco si concilia con la tentazione. Eppure nel Salmo 3.6 (vers.14), notiamo come il tentatore complotti contro l’indigente che, secondo Salomone, non può resistere alle minacce (Pro. 13, 8). È inutile elencare tutti quegli uomini che, per aver abusa-¬to della loro ricchezza, hanno condiviso la sorte del ricco del vangelo. Allo stesso modo, molti poveri, mal sopportando la loro povertà, hanno vissuto indegnamente nella ribellione e nello scontento, perdendo in tal modo la loro speranza celeste. Ma, a parte gli estremi del ricco e del povero, anche coloro che sono a mezza via, non per questo sono meno preservati dalle tentazioni. Un uomo sano e robusto s’immagina che la: sua buona salute lo metta al sicuro dalle malattie? Ma chi, distrugge il tempio di Dio, se non i santi? O forse che un malato, costretto all’immobilità e all’ozio, evita più facilmente del sano di cadere in tentazioni inique e peccaminose? A che scopo enunciare tutte le molteplici sollecitazioni che lo attendono al varco se egli non protegge e non vigila sul suo cuore? Quante persone malate, duramente prostrate nel corpo, hanno distrutto la loro anima! Altre, invece, si sono vergognate di Gesù Cristo e, per l’incapacità di sopportare il dileggio e la derisione, sono precipitati nell’onta eterna.
E la gloria umana, mette forse al sicuro dalle tentazioni? Coloro che ricevono l’approvazione degli uomini, ricavandone fama e notorietà, “hanno già ricevuto la loro ricompensa” (Mt. 6, 2). Costoro devono anche temere quest’altra parola: “e come potete credere voi che prendete gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene da Dio solo?” (Gv. 5, 44). A che scopo ricordare le cadute dell’orgoglio da parte di coloro che si credono nobili ovvero la vile adulazione di coloro che chinano la schiena davanti ai potenti? Una simile bassezza allontana da Dio in quanto costoro non hanno un affetto sincero e disinteressato ma simulano quello che c’è di più bello: la carità.
Non ci sono, quindi, dubbi che tutta la vita dell’uomo sulla terra è tentazione. Perciò chiediamo di esserne liberati. Ma la nostra richiesta non tende tanto ad essere sottratti alla tentazione (abbiamo visto, infatti, come ciò sia impossibile) quanto a non soccombere ad essa. Colui che soccombe alla tentazione è preso nelle sue spire. Anche Gesù è entrato nella tentazione per liberare coloro che vi erano prigionieri: “egli spia attraverso le inferriate” (Cant. 2, 9) ed incita la sua fidanzata ad alzarsi e ad affrettarsi. Aggiungerò a quanto finora detto che neanche colui che medita continuamente la Scrittura, cercando di metterla in pratica, è risparmiato dalla tentazione. Sono molti, infatti, tra costoro quelli che, scrutando la Scrittura, hanno male interpretato le promesse presenti nella Legge e nei Profeti e si sono invischiati in dottrine atee ad empie ed a volte anche in credenze stupide e ridicole.
Sono anche caduti in credenze eretiche molti lettori dei libri evangelici ed apostolici: hanno inventato un altro Figlio ed un altro Padre diversi da quelli insegnati dai Santi e dalla verità. Chi compie errori simili, si allontana dal vero Dio e dal vero Cristo. Aggiungasi poi che egli non ama neppure quel Padre e quel Figlio che la sua follia ha fabbricato, credendoli veri. Soffre terribilmente per non aver avuto la forza sufficiente per resistere alla tentazione racchiusa nella lettura delle Sacre Scritture.
Da quanto, sopra, comprendiamo, quindi, come la preghiera che Gesù ci ha insegnato, reciti “non indurci in tentazione” e non già “non farci entrare nella tentazione”: abbiamo visto, infatti, come questo secondo desiderio sia irrealizzabile.
Vediamo a questo punto come Dio può indurre in tentazione colui che non prega o che non è esaudito nelle sue preghiere. Ripugna, infatti, pensare ad un Dio che induca l’uomo in tentazione: è come se un padre condannasse il figlio alla disfatta. L’interpretazione, comunque, dei passi evangelici non è facile, qualunque sia il modo con cui tentiamo di spiegare la formula “pregate per non cadere in tentazione” -e, infatti, domandiamo a Dio di risparmiarcene-; non è forse assurdo pensare che un Dio buono, che non può portare frutti cattivi, possa gettare qualcuno nel male?
Citiamo a questo punto le parole di San Paolo: “Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti ed hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare tra di loro i propri corpi” (Rom. 1, 22 – 24); e un pò più oltre: “Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini … ” (Rom. 1, 26 – 27); ed infine: “e poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balia di un’intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno” (ivi, 28). È necessario citare questi testi per coloro che distinguono il Padre buono di nostro Signore Gesù Cristo dal Dio della Legge, severo e giustiziere: a costoro occorre chiedere se il Dio buono induce in tentazione colui che non è stato esaudito nella sua preghiera, se il Padre abbandona all’impurità, attraverso le concupiscenze della carne, coloro che hanno peccato, se, sordo alle suppliche, lascia costoro nella libertà di compiere il loro perverso tornaconto ed alle loro passioni. Questo apparente disinteresse di Dio per i suoi figli, tenterà sicuramente costoro, scandalizzandoli. Ed è proprio per questo motivo che essi, nello scrutare -le Scritture, hanno immaginato un altro Dio diverso da quello Creatore del cielo e della terra: un Dio che, secondo i testi della Legge e dei Profeti, non è buono e non è misericordioso.
Sta a noi, a questo punto, ribattere a queste obiezioni, interpretando rettamente le parole “non indurci in tentazione”. Una cosa è certa: Dio dispone tutte le anime per la vita eterna ma è anche vero che queste restano libere di innalzarsi fino alla perfezione ovvero di corrompersi e di precipitare in ogni forma di male. Guarendo troppo facilmente, alcuni disprezzano le malattie passate e, sembrando a loro molto facili da curare, finiscono con il ricadervi. Ecco perché Dio disprezza con ragione la cattiveria di costoro che rischia di diventare incurabile: a forza, infatti, di perseverare nel male, gli uomini vi si assuefanno ed alla fine odiano quello che prima adoravano. In questo modo, però, essi potranno guarire e conservare la salute spirituale recuperata. Così “la gente raccogliticcia che era tra il popolo, fu presa da bramosia; anche gli Israeliti ripresero a lamentarsi ed a dire: chi ci potrà dare carne da mangiare? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle e dell’aglio. Ora la nostra vita inaridisce; non c’è più nulla, i nostri occhi non vedono altro che questa manna!” (Num. 11, 4-6); e, ancora: “Mosé udì il popolo che si lamentava in tutte le famiglie, ognuna all’ingresso della propria tenda” (ivi, 10); e il Signore disse a Mosé: “Dirai al popolo: santificatevi per domani e mangerete carne, perché avete pianto agli orecchi del Signore, dicendo. chi ci farà mangiare carne? Stavamo così bene in Egitto! Ebbene il Signore vi darà carne e voi ne mangerete. Ne mangerete non per un giorno, non per due giorni, non per cinque giorni, non per dieci giorni, non per venti giorni, ma per un mese intero, finché vi esca dalle narici e vi venga a noia, perché avete respinto il Signore che è in mezzo a voi e avete pianto davanti a lui, dicendo: perché siamo usciti dall’Egitto?”(ivi, 18-20).
Vediamo dunque se la citazione di questi brani porta un contributo all’esatta comprensione del passo: “non indurci in tentazione”. Gli israeliti desideravano quei beni che credevano necessari per soddisfare i loro bisogni: da tanto tempo mangiavano manna e ne provavano disgusto; desideravano un altro cibo, la carne ed il Signore, nella Sua misericordia, concesse loro la carne e non passò un sol giorno senza che essi ne mangiassero. Poiché sarebbe bastata la mancanza di carne, anche per un breve periodo, per far rivivere negli Israeliti il desiderio ed il rimpianto per le cipolle d’Egitto, il Signore li rimpinzò di carne fino a far provar loro il disgusto. Proprio questo voleva il Signore: mostrare come la concupiscenza dei beni materiali porta al rifiuto ed al disgusto una volta che Dio li concede senza misura: Egli, infatti, non si contentò di promesse, ma soffocò gli Israeliti sotto i suoi doni. Arriverete al punto, dice il Signore, di non avere più desideri ed il ricordo delle sofferenze passate vi aprirà gli occhi sulla vanità dell’appagamento dei desideri materiali, vi servirà un domani quando, dimentichi del passato, rifiuterete la parola liberatrice di Dio per ricadere nei desideri e nelle cupidigie del mondo. Ma a questo punto non vi stancate di pregare ancora il Signore ed aprite finalmente gli occhi sulla vostra storia: aver trascurato la Parola di Dio che vi nutre e vi consola, vi ha condotto a ricercare il peggio.
È la stessa sorte di coloro che hanno sostituito alla gloria di Dio delle immagini mortali, come uccelli, quadrupedi, serpenti e che quindi, spinti dalle concupiscenze del loro cuore, hanno disonorato il loro corpo con l’impurità. Questi empi hanno dato a corpi inanimati ed insensibili il nome di Dio che è il solo che conferisce a tutti gli esseri la sensibilità e la ragionevolezza: anzi, ad alcuni anche una sensibilità ed un’intelligenza perfetta. A ragione quindi questi uomini che hanno abbandonato Dio sono; a loro volta, abbandonati da Lui: è questo il salario che essi ricevono per le loro ignominie ed i piaceri grossolani a cui si· sono abbandonati. E questa situazione è per loro ben più dolorosa di quella a cui soggiacerebbero laddove fossero gettati in prigione ovvero purificati da un fuoco spirituale per assolvere i loro debiti fino all’ultimo centesimo. Fate attenzione a questo concetto: quando l’uomo si abbandona all’impurità e si contamina di delitti secondo e contro natura, è schiacciato dal peso della sua carnalità tanto da diventare interamente “carne”, senza più anima né intelligenza; se, invece, fossero imprigionati, essi riceverebbero non il salario dell’errore di cui prima abbiamo parlato (cioè l’abbandono di Dio) ma la purificazione dai mali che derivano dalla loro situazione di abbandonati da Dio. Quindi costoro riceveranno il beneficio di essere liberati dalla contaminazione e dal sangue di cui si erano macchiati, ma non potranno sfuggire alla perdizione in quanto non sanno come liberarsi della colpa primaria, quella cioè di aver abbandonato Dio.
Dice Isaia (4, 4): “quando il Signore avrà lavato le brutture delle figlie di Sion ed avrà pulito l’interno di Gerusalemme dal sangue che vi è stato versato…” e conferma Malachia (3, 2): “Egli è come il fuoco del fonditore e la lisciva del lavandaio”, che Dio laverà e purificherà coloro che sono caduti nell’errore di abbandonare Dio, privandosi della Sua vera conoscenza. Essi, infatti, si renderanno conto del loro errore e si sottometteranno alla penitenza ed odieranno il loro spirito malvagio spontaneamente: Dio, infatti, ama a tal punto gli uomini da consentire loro ogni libertà. A forza di cedere al male, alcuni si sono talmente assuefatti ad esso che non ne sentono più neppure l’onta tanto la considerano ormai come un bene. Ricordiamoci della pedagogia che Dio ha usato contro il Faraone: quest’ultimo ebbe un cuore sordo ed indurito nei confronti delle richieste di Mosé ed Aronne fino al punto da provarne disgusto e dolore e quindi riconoscere, alla fine, l’insopportabilità della sua situazione e aderire alle preghiere degli Israeliti; se il suo indurimento e la sua caparbietà fossero finiti troppo presto, egli non sarebbe arrivato a disprezzarli come un male per sé e non per gli Israeliti e (quindi si sarebbe reso degno di essere ancora più indurito. Con il Faraone, Dio dimostra la ragione di aver fatto cadere gli uomini in un agguato e di averli gravati con un peso ai fianchi (Sai. 65,11); ancora: “invano si tende la rete sotto gli occhi degni” (Pro, 1, 17); anche l’ultimo degli uccelli non cade nel laccio dei cacciatori, senza che Dio lo voglia; se questo accade è per il fatto che si è mal servito delle ali che dovevano sollevarlo in alto.
In conclusione con la preghiera chiediamo a Dio di non fare nulla che possa indurci in una tentazione per cui poi saremo sottomessi all’equo Suo giudizio: ciò che accade a coloro che sono abbandonati da Dio alle concupiscenze del cuore, all’impurità, alle passioni ignominiose ed ai giudizi perversi.
La tentazione, però, è utile a qualcosa: è utile a farci scoprire quello che non conosciamo e cioè la nostra miseria e ad obbligarci alla riconoscenza verso Dio per tutti quei beni di cui la tentazione ci. ha rivelato il possesso. Nel Libro di Giobbe e del Deuteronomio, il Signore dichiara, infatti, che la prova serve a manifestare i sentimenti nascosti del nostro cuore. Infatti, rispettivamente: “Ecco, sono ben meschino, che ti posso rispondere? Mi metti la mano sulla bocca” (Gb. 40, 3); “Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna … ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua … per umiliarti e per provarti, per farti felice nel tuo avvenire” (Deut. 8, 3, 15 – 16).
Per rifarci ad un altro esempio, ricordiamo che lo spirito di Eva non divenne vulnerabile e fragile al momento in cui disobbedì a Dio e ascoltò il serpente: esso lo era già prima. Il serpente avvicinò la donna, perché la sua perspicacia gli aveva fatto capire la debolezza femminile. Caino era malvagio fin dal momento in cui offriva i suoi sacrifici al Signore – Questi infatti non li gradiva (Es. 4, 5) – anche se la sua cattiveria si manifestò pienamente in un momento successivo, quando uccise il fratello. Lo stesso vale per Noè: se egli non avesse bevuto il frutto della vigna che aveva piantato fino ad ubriacarsi ed a scoprirsi, l’irriverenza di Cam ed il rispetto degli altri figli non avrebbero avuto occasione di manifestarsi, anche se queste caratteristiche esistevano già prima nelle anime di costoro. Lo stesso dicasi per Esaù e per le imboscate che egli tendeva al fratello Giacobbe: non erano certo provocate dal furto che questi aveva fatto della benedizione paterna ma dal fatto che il primo era un fornicatore ed un profanatore (Ebrei 12, 16). Anche la purezza di Giuseppe, che pur esisteva nel suo cuore, ebbe bisogno di un’occasione per manifestarsi: la passione della padrona verso di lui. Ecco, quindi, in conclusione di quanto detto, il motivo per cui dobbiamo approfittare dei momenti in – cui le tentazioni ci lasciano in pace: sono questi dei momenti privilegiati in quanto possiamo usarli per fortificare il nostro spirito e non farci trovare impreparati in futuro. Ciò che farà difetto alla fragilità umana, una volta che avremo fatto tutto il possibile da parte nostra, sarà dato da Dio che collabora sempre al bene di coloro che l’amano e che conosce, nella sua infinita prescienza, quello che diventeranno.