Dacci oggi il nostro pane
Alcuni esegeti affermano che noi dobbiamo pregare, perché Dio ci conceda quotidianamente il pane materiale; ma io disdegno l’interpretazione materiale e confuto l’errore di costoro. Come è possibile, infatti, che Dio, dal momento che dispensa beni superiori e celesti – ed il pane corporale non è certamente tra questi – si dimentichi di ciò e si limiti ad invitarci a chiedere un bene che perisce, un bene infimo? Basta, per chiarire questo problema, leggere la parola di Dio a proposito del pane. A coloro che erano venuti a cercarlo a Cafarnao, Gesù dice: , “in verità, in verità, vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”. (Gv. 6, 26). Colui che mangia il pane benedetto da Gesù e se ne nutre, cerca di conoscere meglio il Figlio cli Dio e si affretta verso di Lui. Ecco perché Gesù ordina: “procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà” (Gv. 6, 27). Ed agli interlocutori che incalzavano: “che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?”, Gesù replica: “questa è l’opera di Dio: credere in Colui che Egli ha mandato” (Gv. 6, 28 – 29). “Mandò la Sua parola e li fece guarire” (Sal. 106, 20) è detto a proposito del Figlio e dei malati. In definitiva, solo coloro che credono al Figlio di Dio fatto carne, compiono le opere di Dio: e fare queste opere costituisce il pane che non perisce e che durerà per sempre.
Afferma ancora Gesù: “In verità, in verità, vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è Colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo” (Gv. 6, 32, – 33). Questo concetto ribadisce che il vero pane che nutre l’uomo e lo innalza fino alla somiglianza con il Creatore è il Verbo di Dio che si è incarnato ed ha fatto la volontà del Padre; non c’è nulla di più nutriente per l’anima e di più prezioso per lo spirito.
Qualcuno, a questo punto, potrebbe obiettare che il Maestro non ci insegna a domandare il pane sopra sostanziale ma l’altro, quello corporale. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù parla del “pane”, a volte come qualcosa di diverso da Lui ed, a volte, come Lui stesso. Come qualcosa di diverso da Lui, quando dice che non Mosè ha dato al popolo il vero pane disceso dal cielo, ma il Padre; come Lui stesso, quando, a coloro che lo supplicavano di dare loro questo pane, Gesù conclude: “io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete” (Gv. 6, 35); e ancora, “io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno ed il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv. 6, 51).
La Scrittura chiama “pane”, qualsiasi nutrimento. Così per Mosé che, secondo la· parola del Deuteronomio (9, 9), . rimase “sul monte quaranta giorni e quaranta notti senza mangiare pane né bere acqua”. Anche la Parola di Dio nutre colui che l’ascolta secondo una gradualità: infatti non tutti sono in grado di sopportare la forza dell’insegnamento di Dio. A coloro che hanno l’orecchio aperto e sono più pronti di altri, Gesù afferma: “il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. E ancora: “in verità, in verità, vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo ed il mio sangue, bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me ed io in lui. Come il Padre che ha la vita, . ha mandato me ed io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me, vivrà per me” (Gv. 6, 53. – 57). Il nutrimento vero, quindi, è la carne di Cristo il quale, in qualità di Verbo di Dio, si è incarnato secondo la Parola. “e il Verbo si fece carne” (Gv. 1, 14). Quando noi mangiamo la Sua carne e beviamo il Suo sangue, il Verbo dimora in noi. E quando viene distribuito si compie la parola “e noi vedemmo la sua gloria, gloria come dal unigenito dal Padre, pieno di grazie e di verità” (Gv, l; 14). Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno” (Gv. 6, 58).
San Paolo, rivolgendosi ai Corinzi come a de ineonati, afferma: “vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido, perché non ne eravate capaci: E neanche ora lo siete: perché siete ancora carnali” (I” Cor. 3, 2 – 3). E nella lettera agli Ebrei è detto: ” … siete diventati bisognosi di latte e non di cibo solido. Ora, chi si nutre ancora di latte è ignaro della dottrina della giustizia, perché è ancora un bambino. Il nutrimento solido, invece, è per gli uomini fatti, quelli che hanno le facoltà esercitate a distinguere il buono dal cattivo” (Eb. 5, 12 – 14).
Secondo il mio parere, la parola per cui: “uno crede di poter mangiare di tutto, l’altro, invece, che è debole, mangia solo legumi” (Rom. 14, 2), non riguarda il pane corporale ma la Parola di Dio, destinata a nutrire l’anima. Infatti, colui che è veramente fedele e giusto può assumere in sé tutto, come lo provano le parole “crede di poter mangiare di tutto”; ma colui che è debole nella fede, incerto ed imperfetto, deve accontentarsi di insegnamenti semplici, dì ammonimenti alla sua portata, insufficienti a tonificare completamente – la sua fede. A costui San Paolo si riferisce quando dice “l’altro che è debole mangia solo legumi”.
Secondo Salomone, nei Proverbi, la persona semplice che, pur senza essere nell’errore, non arriva a comprendere i dogmi più elevati e fortificanti per la sua fede, ha senz’altro la meglio su un’altra che, pur di intelligenza raffinata e di ingegno più pronto, non ha tuttavia il discernimento di cogliere la Parola di Dio nel suo profondo significato: è proprio vero, infatti, che “un piatto di verdura con l’amore è meglio di un bue grasso con l’odio” (Pro. 15, 17). Un “pasto frugale”, cioè un insegnamento semplice ed un ammonimento terra terra offertoci da coloro che non possono darci di più, è senz’altro da preferire alle dotte disquisizioni dei sapienti che non conoscono nulla di Dio e che propagano una dottrina eretica, diversa da quella donataci dal nostro Signore Gesù Cristo, attraverso la Legge ed i Profeti. Imploriamo, dunque, il Padre che ci dia il “pane soprasostanziale” che impedisce alle nostre anime di languire o, peggio, di morire. Esaminiamo ora il significato della parola “soprasostanziale”. Il termine “quotidiano” è stato forgiato dagli evangelisti: Matteo e Luca, infatti, sono d’accordo sulla parola che, d’altra parte, non figura nei maestri greci né tanto meno nel linguaggio corrente. La stessa cosa, infatti, avviene per altre locuzioni.
A proposito, comunque, del termine “quotidiano”, esso designa un pane che è trasformato in sostanza materiale; mentre il termine “scelto, eletto”, riferito al popolo di Israele nel libro dell’Esodo, (19, 6), indica un popolo concreto destinato a partecipare alla natura divina. La derivazione delle due parole “quotidiano” e “scelto” sembra essere la stessa: quella: della parola greca “sostanza, essenza”.
Noi abbiamo fatto delle ricerche sulla nozione di “sostanza” per chiarire il senso del pane “quotidiano” e del popolo “eletto” e spiegare il diverso significato dei termi.ni. Prima ancora avevo anche dimostrato che il pane che dovevamo chiedere è quello spirituale. Quindi: come il pane, il cibo, trasmette la sua sostanza al corpo di colui che se ne nutre, così il “pane di vita disceso dal cielo”, cioè la Parola, dà vigore e conferisce virtù all’anima di colui che la ascolta; in tal modo questa Parola diventa il “pane soprasostanziale” che chiediamo. Come i cibi, qualunque essi siano, nutrono e fortificano in modo diverso coloro che li assumono, così la Parola di Dio è “latte” per i “fanciulli”, “legume” per i più “deboli” e “carne” per i “forti”. Ciascuno trae vantaggio dall’ascolto della Parola, secondo la sua disposizione. Ma come esistono cibi velenosi che producono malattie e morte, così ci sono insegnamenti dannosi che causano danno all’anima di chi li ascolta. Il vero “pane soprasostanziale” apporta salute, vigore ed energia e comunica all’anima l’immortalità che altro non è che il Verbo di Dio, vera immortalità donata a chi lo mangia.
Il “pane soprasostanziale” è chiamato nella Scrittura anche con il nome di “albero di vita”, grazie al quale, colui che vi tende la mano,’ vivrà eternamente. Afferma Salomone nel libro dei Proverbi, riferendosi per esso alla Sapienza dì Dio (Pro. 3, 18): “È un albero di vita: chi ad esso s’attiene e chi ad esso si stringe, è beato”.
Anche gli angeli si nutrono della Sapienza dì Dio; anzi è da essa che traggono la forza per compiere la loro missione. Il popolo d’Israele ha mangiato lo stesso pane degli angeli: così afferma, infatti, il Salmo 77, al versetto 25. Non saremo così ingenui a questo punto da credere che il pane di cui si tratta sia un pane materiale, simile alla manna regalata agli israeliti nel deserto: in questo caso, infatti, ci si riferisce allo stesso cibo degli angeli che servono Dio.
A questo punto, visto che stiamo parlando di pane soprasostanziale, di albero della vita, di pane degli angeli e degli uomini, occupiamoci dell’episodio della Genesi in cui Abramo dà ospitalità ai tre uomini alle querce di Mamre. Essi mangiano focacce impastate con tre staia di fior di farina e cotte sotto la cenere. Il racconto, ovviamente, va preso in senso figurato: i santi, infatti, dividono con gli uomini il cibo per rivelare loro e condividere con essi il vero cibo che li sostenta e, quindi, per beneficarli. Gli. angeli, da parte loro, si rallegrano di ciò e consentono ai santi di assimilare sempre meglio gli insegnamenti ricevuti. Non ci si deve stupire, del resto, nel vedere l’uomo che nutre i santi: lo stesso Gesù Cristo, infatti, afferma di bussare alla porta di colui con il quale Egli consumerà il pasto e che poi ricolmerà dei suoi beni.
Chi riceve il “pane soprasostanziale” rafforza il proprio cuore e diventa Figlio di Dio. Chi, invece, nell’apparenza lo accetta ma nella sostanza lo rifiuta, ascolta le invettive lanciate da Giovanni il Battista contro i farisei che accorrevano al battesimo: “Razza di vipere! chi vi ha suggerito di sottrarvi all’ira imminente?” (Mt. 3, 7). “Tu con potenza hai diviso il mare, hai schiacciato la testa dei draghi sulle acque. Al Leviatan hai spezzato la testa, lo hai dato in pasto ai mostri marini”.
Il Figlio dell’uomo ed il demonio continuano a coesistere e diventano il nutrimento ora del tale ed ora del tal’altro, da ciò si deduce che gli uomini possono essere nutriti dalle potenze buone e da quelle malvagie. Prima che iniziasse l’opera di evangelizzazione a Cesarea chiamato dal centurione Cornelio, Pietro ebbe la visione di un grande lenzuolo, sostenuto ai quattro angoli, che conteneva ogni sorta di quadrupedi, rettili della terra ed uccelli del cielo. Una voce ordina a Pietro di uccidere gli animali e di mangiarne la carne. Al rifiuto di Pietro, giustificato dal fatto che egli mai avrebbe mangiato qualcosa di profano e di immondo, la voce lo mette in guardia dal chiamare “profano” quello che Dio ha purificato (Atti 10, 15). Questo fatto è significativo ed illuminante: il nutrimento, secondo la legge di Mosé, può essere puro o impuro ma questa distinzione viene a cadere una volta che Dio abbia tutto purificato.
Comunque, indipendentemente dai cibi materiali, il cibo spirituale, il “pane soprasostanziale”, è unico: noi dobbiamo domandare a Dio di esserne degni. Si potrebbe far derivare il termine “quotidiano” da quello greco “arrivare, giungere domani, in futuro”. Ciò comporterebbe che noi domandiamo oggi il pane futuro che dovrebbe esserci accordato nell’aldilà ma che riceviamo anticipatamente in questa vita. “Oggi”, quindi, starebbe per la vita presente, mentre “domani” significherebbe la vita futura. A mio parere, però, la prima spiegazione è la migliore. Dobbiamo ora cercare di comprendere che cosa significa “oggi” per Matteo e “ogni giorno” per Luca. La Scrittura individua spesso tutta l’eternità con il termine “oggi”. Vediamo alcuni passi: “Costui è il padre dei Moabiti che esistono fino ad oggi” (Gen. 19, 37); “costui è il padre degli Amminiti che esistono fino ad oggi” ( Gen. 19, 38); “così questa diceria si è divulgata tra i Giudei fino ad oggi” (Mt, 28, 15); “Ascoltate oggi la sua voce: non indurite il cuore … ” (Sal. 94, 8); da ultimo, nel libro di Giosuè, quando esorta il popolo a non allontanarsi “oggi” dal Signore.
Se “oggi”, quindi, designa tutto il tempo presente, “ieri” designa quello passato. Così almeno appare nei Salmi e nella lettera agli Ebrei; rispettivamente: “mille anni davanti ai tuoi occhi sono come il giorno di ieri che è passato” e “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre”. Nulla di eccezionale, del resto, che per Dio un secolo non duri che lo spazio di uno solò dei nostri giorni; secondo me, anche dimeno.
Bisogna anche ricercare se è all’eternità che si riferiscono le parole scritte a proposito delle feste e delle cerimonie che si celebrano in giorni, mesi ed anni fissi. Per esempio, i sabati; se la legge possiede in sé “l’immagine dei beni futuri”, i vari sabati sono necessariamente l’immagine di altrettanti giorni. Ci sono dei testi di San Paolo che mi imbarazzano in quanto, raffrontandoli tra di loro, noto che, nella lettera agli Ebrei (9, 26) parla della “pienezza dei tempi” in cui Cristo è apparso una sola volta ( una volta per tutte) “per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso”; mentre, nella lettera agli Efesini (2, 7) è detto che, nei secoli futuri, Dio mostrerà “la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Gesù Cristo”.
Di fronte a queste difficoltà interpretative, ecco come la penso. Nel corso di un anno i mesi si susseguono ai mesi e nel corso di un secolo gli anni sisusseguono agli anni per cui alla fine di un annone inizierà uno nuovo. Dopo cento anni, il secolo si concluderà ed a questo punto inizierà il secolo a venire mentre quello in cui viviamo è il secolo presente. Orbene, nei secoli futuri, Dio rivelerà nella sua bontà i tesori della sua grazia. Nel secolo presente, il peccatore, quello che ha bestemmiato Dio contristando lo Spiritò Santo, sarà posseduto dal demonio e preda del peccato ma nel secolo futuro io non so come potrà essere trattato. Colui che considera la settimana di secoli, il mese di secoli, l’anno di secoli ed i secoli dei secoli al fine di poter lodare Dio che ha stabilito leggi tanto meravigliose, si chiede se giova occuparsi di una frazione dell’ora del giorno del secolo presente e non piuttosto mettersi nella condizione di ricevere ogni giorno per giorno il pane soprasostanziale.
A questo punto è chiaro che senso debba darsi alla formula “ogni giorno”. Colui che prega un Dio che esiste di eternità in eternità per essere gratificato “in tutto ha potere di far molto di più di quanto possiamo domandare o pensare (Ef. 3,20) ebbene questi riceverà in dono “quelle cose che occhio non vide, ni orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo” (1^ Cor. 2,9).
Tutte queste considerazioni mi sono sembrate necessarie per far comprendere i termini “oggi” ed “ogni giorno” usati rispettivamente da Matteo e Luca nel domandare al Padre il “pane spèrasostanziale”.