Un’unica storia in 4 versioni
Marco, Luca, Matteo e Giovanni ci presentano la resurrezione di Gesù come il finale trionfante di un’opera. I vangeli sono opere letterarie ispirate dallo Spirito, composte da una introduzione della vita e del messaggio di Gesù, dal racconto della passione e morte, per poi sfociare nel finale glorioso della resurrezione. La resurrezione è l’atto finale, il più breve ma anche il più intenso: la fine coincide con l’inizio di una storia nuova! La storia comune raccontata dai quattro autori riferisce della visita mattutina delle donne al sepolcro per completare l’unzione del corpo di Gesù, la sorpresa alla vista della tomba “aperta”, la visita dei discepoli, le apparizioni dell’angelo, le apparizioni del risorto, l’invio dei discepoli nel mondo e l’ascensione di Gesù al cielo.
Questa storia comune si intreccia con quattro versioni differenti per gli elementi sottolineati, riportati o taciuti dai singoli autori. Marco, Luca e Matteo riferiscono la visita al sepolcro di un gruppo di donne, mentre Giovanni racconta la visita della sola Maria Maddalena (Gv 20,1). Secondo Marco, Luca e Giovanni, il sepolcro è trovato già aperto all’arrivo delle donne, mentre, secondo Matteo, la pietra sepolcrale è rotolata via da un angelo (Mt 28,2). Marco e Luca riferisco l’incredulità dei discepoli al racconto delle donne, mentre Luca e Giovanni narrano la corsa dei discepoli per verificare l’accaduto. Secondo Giovanni, i discepoli accorsi al sepolcro per verificare la tomba “aperta” sono Pietro e il discepolo amato (Gv 20,3), invece secondo Luca è solo Pietro (Lc 24,12).
Luca e Giovanni riferiscono l’apparizione di due angeli, mentre Marco e Matteo parlano di un solo angelo. Giovanni racconta che il risorto appare “irriconoscibile” per primo a Maria Maddalena (Gv 20,14-18), mentre Matteo riferisce l’apparizione a tutto il gruppo delle donne (Mt 28,9-10). Luca e Giovanni collocano l’apparizione del risorto lo stesso giorno di Pasqua a Gerusalemme, mentre Marco e Matteo situano le apparizioni del risorto alcuni giorni dopo in Galilea. Giovanni poi riporta una apparizione del risorto anche sul lago di Tiberiade (Gv 21,1-14). Marco, Matteo e Luca riferiscono l’invio dei discepoli nel mondo; Giovanni, invece, presenta la riabilitazione del primato di Pietro (Gv 20, 15-19).
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I 5 SEGNI DELLA RESURREZIONE DI GESU’
La tomba “aperta”
La tomba “aperta” costituisce il primo segno della resurrezione di Gesù. La tomba “vuota” non dice nulla, può persino dare adito a fraintendimenti, come il trafugamento del cadavere, il risveglio da una morte apparente, ecc. La tomba non è “vuota” ma “piena” di un segno della resurrezione che stiamo per scoprire. La tomba “aperta” ha un significato sia storico che simbolico. Il significato storico riferisce un fatto realmente accaduto nella storia e confermato dalla testimonianza di uomini e donne accorsi sul posto. La resurrezione, pur accaduta nella storia, non appartiene alla storia, ma va oltre la storia, la supera in una “metastoria” che non conosce spazio e tempo. Spazio e tempo vengono annullati, superati e aperti verso nuovi orizzonti. L’evento della resurrezione continua nello spazio e nel tempo a coinvolgere e avvolgere in un vortice di salvezza le creature di tutti i tempi e di tutti i luoghi. E’ accaduto oltre duemila anni fa, ma è come se accadesse in questo istante, mentre io scrivo e tu leggi. In Dio il tempo e lo spazio si annullano, non esistono se non in un eterno presente. Il significato storico della tomba “aperta” si apre a quello simbolico. La tomba “aperta” esprime la resa della morte, mentre si “apre” alla vita. La vita vince la morte e lascia il segno della tomba “aperta”. La pietra sepolcrale rotolata via invita a “passare” dalla morte alla vita. La vita cristiana senza la resurrezione è vita da reclusi in una tomba “chiusa”, che puzza solo di morte e di putrefazione. Uscire dalla prigione tombale, rotolare via la pietra sepolcrale, togliersi di dosso il puzzo di morte e di putrefazione è celebrare il “passaggio” alla vita nuova di risorti nel Risorto!
Le fasce “sgonfie”
Altro segno della resurrezione di Gesù sono le fasce “sgonfie”. Il lenzuolo, le fasce, i sudari che avvolgevano il corpo di Gesù sono trovate “sgonfie”, afflosciate, vuote. Il corpo di Gesù è uscito da quell’involucro di panni misteriosamente e senza manomissioni. Attraversa il lenzuolo, le fasce e il sudario come attraversa le porte chiuse (Gv 20,19). Il suo corpo glorioso non è più soggetto alle leggi della fisica. Le ferite, le piaghe e i colpi della crocifissione sono ancora visibili ma gloriosi, tangibili ma glorificati. La resurrezione di Gesù non è terrena ma ultraterrena, non risorge alla vita terrena come Lazzaro, il figlio della vedova di Nain e la figlia di Giairo; la sua resurrezione non è di questo mondo, ma dell’altro. A trovare il segno delle fasce “sgonfie” sono Pietro e il discepolo amato accorsi al sepolcro di Gesù la mattina di Pasqua, per trovare conferma al racconto delle donne. Una vera e propria corsa, in cui il più giovane arriva per primo, ma aspetta rispettoso (segno del primato pietrino). La mattina di Pasqua è tutto un footing! Corrono le donne, corre Maria Maddalena, corrono Pietro e il discepolo amato, corrono come se volessero riparare la corsa nella notte dell’arresto. Arrivati sul luogo trovano il sepolcro “aperto” e, entrati, scoprono le fasce “sgonfie”, il terzo segno. Il discepolo amato, alla vista di quelle fasce “vide e credette” (Gv 20,8). Cosa ha visto per credere? Il discepolo amato era presente al momento della morte (Gv 19, 27-26) e della sepoltura di Gesù. Aveva potuto osservare il rito “abbreviato” dell’unzione, l’avvolgimento del lenzuolo, delle fasce e dei due sudari attorno al corpo di Gesù. Il corpo di Gesù era avvolto da un lungo lenzuolo, bloccato da larghe fasce e da due sudari: uno, interno, era arrotolato (e non “piegato”, come tradotto in Gv 20,7) attorno al capo e gli chiudeva il mento, l’altro, esterno, sopra il lenzuolo, fungendo da larga fascia, gli avvolgeva il volto. Quell’involucro di lenzuolo, fasce e sudari è vuoto (non la tomba), senza il cadavere, afflosciati su “se stessi” (non “per terra”, come tradotto da Gv 20,5). Le fasce “sgonfie” e intatte sono il secondo segno “visibile” della resurrezione di Gesù.
Le apparizioni del risorto
Le apparizioni del risorto sono il terzo segno della resurrezione di Gesù. In tutto abbiamo otto apparizioni del risorto, di cui cinque ai discepoli e tre a persone singole o piccoli gruppi. In particolare possediamo due versioni d’apparizioni del risorto: lo stesso giorno a Gerusalemme e alcuni giorni dopo in Galilea. Queste due tradizioni, “gerosolimitana” e “galilaica”, presentano caratteristiche differenti. Le apparizioni “gerosolimitane” si distinguono per una struttura tripartita: l’iniziativa del risorto, la difficoltà a riconoscerlo e la missione dei testimoni. L’iniziativa del risorto è inaspettata e di tipo amicale e famigliare. Gesù risorto saluta, dialoga e mangia con loro, come nella vita terrena. I discepoli faticano a riconoscerlo. La difficoltà a riconoscerlo è solo iniziale; è lo stesso Gesù “sotto un altro aspetto” (Mc 16,12). Il riconoscimento del risorto avviene non solo in modo visivo ma anche uditivo (Gv 20,16), e soprattutto nello “spezzare il pane” (Lc 24,31). La tradizione “gerosolimitana” custodisce questo messaggio: d’ora in poi Gesù si “nasconderà” nei piccoli, poveri e sofferenti. La difficoltà a riconoscerlo nel volto di questi fratelli è davvero tanta se non si vive da risorti nel Risorto. La tradizione “galilaica” presenta le apparizioni del risorto in modo differente. Gesù risorto appare in Galilea in tutta la sua gloria e divinità. I discepoli si prostrano innanzi a Lui (Mt 28,17) e lo proclamano Signore (Gv 21,7). Queste due tradizioni, tuttavia, si integrano e completano a vicenda, insieme svelano la resurrezione sia come movimento verso l’alto – il risorto sale glorioso al cielo, tipico della tradizione pittorica Occidentale (ispirato all’apocrifo di Pietro) – sia come movimento verso il basso – il risorto discende agli inferi per liberare i morti, tipica immagine della iconografia Orientale. La discesa agli inferi, professata dal credo, confessa la “visita” del risorto a coloro che “attendevano in prigione” (Pt 3,19). A loro il risorto annuncia la buona novella (Pt 4,6) e li raduna insieme con Lui (Ts 4,14). Le apparizioni del risorto sono il terzo segno della resurrezione di Gesù. Attraverso questo segno, i discepoli comprenderanno finalmente il senso della vita e della passione e morte del loro maestro e Signore.
La “metamorfosi” dei discepoli
La “metamorfosi” dei discepoli racchiude due segni della resurrezione di Gesù. Il quarto segno è il totale cambiamento o trasformazione dei discepoli, tanto da dover parlare di una vera e propria “metamorfosi”. I discepoli sono talmente trasformati dall’incontro con il risorto da dare la vita per Lui. Affronteranno il martirio con grande forza e coraggio da lasciare impalliditi gli stessi esecutori. I discepoli della settimana santa sono confusi, delusi e spaventati, ma anche vili, codardi e vigliacchi (noi non siamo migliori). Abbandonare un amico nelle mani dei nemici è il peggiore gesto di viltà che si possa fare sulla faccia della terra. Con questo gesto i discepoli si “vendono” l’amicizia di Gesù, che li aveva scelti perché stessero con Lui (Mc 3,14). Vili come larve e viscidi come vermi stanno per subire una vera e propria metamorfosi. Da larve diverranno come farfalle, capaci di volare, di librarsi nell’aria, di andare oltre. La farfalla è il simbolo dell’anima, mentre la metamorfosi è liberazione dalla prigione del proprio bozzolo. Senza la metamorfosi si rimane larve e senza la trasformazione si vive da vermi. I discepoli iniziano a vivere pienamente solo dopo la “metamorfosi” della Pasqua. Da larve e vermi quali erano, diverranno forti e coraggiosi. L’incontro con il risorto li trasforma fino all’inverosimile. I fuggiaschi della notte dell’arresto, i traditori e rinnegatori dell’ora delle tenebre, i rinchiusi nella casa della paura usciranno allo scoperto fieri e forti, intrepidi e coraggiosi; nulla più li spaventa! Il quinto segno è conseguente: i discepoli daranno la vita per il loro maestro. Uno dopo l’altro avranno l’occasione di rendere testimonianza con il martirio al Signore risorto. Dare la vita non è semplicemente come dare qualcosa; nessuno arriva a tanto senza un motivo fortemente valido. I discepoli del risorto hanno una certezza che nessuno potrà mai togliere loro: dare la vita per il risorto significa vivere per sempre con Lui, per Lui e in Lui.
PADRE MAURIZIO DE SANCTIS