Far salire Gesù sulla barca
Il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci viene riassunto e ripreso all’inizio dell’odierno lezionario con queste parole: «dopo che la folla ebbe mangiato…». Ed ecco che poi si apre una nuova scena, che descrive Gesù quando finalmente riesce a stare da solo per pregare. Ne aveva avuta l’intenzione appena saputo della morte del Battista, ma senza successo, a causa della sua compassione per la folla (cf. Mt 14,14). Ora questa viene davvero congedata, e Gesù sale sul monte, per rimanere in solitudine. Sembra un dettaglio insignificante, ma significa che Gesù non soltanto ha avuto attenzione agli altri, ma è stato anche e soprattutto attento al dialogo col Padre: ugualmente.
La scena poi si sposta da Gesù ai suoi discepoli, ovvero dal monte – dove Gesù si trova – al lago di Galilea, dove questi invece stanno. Non sappiamo perché i discepoli siano ancora lì. Stanno pescando? Anche se siamo abituati a questa scena, il nostro testo non lo lascia pensare; infatti i vangeli dicono che la ragione della traversata è per precedere Gesù sull’altra sponda (cf. Mt 14,22). Ma se ormai al termine della notte i discepoli non sono ancora arrivati, qualcosa non deve aver funzionato. Solo al versetto 24 apprendiamo cosa è accaduto: il vento contrario ha impedito ai discepoli di raggiungere la riva. Chi è stato a Tiberiade, la città ora più importante del lago di Galilea, sa che i pescatori del luogo, anche quelli più esperti, temono gli improvvisi cambiamenti del lago. Il vento che soffia, anche d’estate e soprattutto di pomeriggio o di sera, in modo forte e pericoloso: onde alte, tempeste improvvise, sono registrate anche in altri racconti evangelici (cf. Mt 8,24 = Mc 4,37).
Se confrontiamo il nostro racconto con quello di Marco (6,45-52), scopriamo a questo punto alcune caratteristiche interessanti. Secondo Marco Gesù vede i discepoli che sono ormai stanchi di remare e decide di avvicinarsi a loro, forse per aiutarli; ma senza farsi vedere, aggiunge l’evangelista: «avrebbe voluto sorpassarli» (Mc 6,48). Non capiamo pienamente il senso di queste espressioni, che sembrano contrastanti: Matteo risolve il tutto omettendo quanto legge da Marco e scrivendo solo che «Gesù andò verso di loro camminando sul mare» (Mt 14,25). Il verbo che Marco usa per dire che Gesù li voleva sorpassare (par-erkomai) è molto interessante: tra le sue tante occorrenze nel Primo Testamento, alcune riguardano proprio il passare di Dio, come nel caso della gloria che passa oltre Mosè (Es 33,22) o della presenza che oltrepassa Elia (1Re 19,11). Questo ci porta a pensare che il racconto del nostro episodio nella redazione marciana voglia sottolineare particolarmente la misteriosa manifestazione di Dio all’uomo: si tratta di una vera e propria epifania (R. Guelich). È questa, del resto, la scelta compiuta dal lezionario che associa al nostro vangelo, come prima lettura, il brano dal Primo libro dei Re che dice di Elia e dell’esperienza del “sussurro” di Dio.
Il vangelo di Matteo invece sembra essere maggiormente interessato a sottolineare il problema della fede: i versetti da 28 a 31, infatti, sono propri del Primo Vangelo e fanno parte della tradizione che questi ha ricevuto. È difficile capire perché Pietro chieda di poter prendere parte ad una esperienza straordinaria come il camminare sull’acqua; ma dietro questo racconto vi è forse il tema del coraggio della fede. Camminare sul mare significa credere che la potenza di Dio è più grande degli spiriti che – si credeva – lì sono presenti; significa credere che la fede può tutto e nulla è impossibile per chi crede (cf. Mt 17,20).
Di particolare interesse è la finale del racconto. Laddove per Marco il racconto prevede una domanda sull’identità di Gesù che rimane sospesa («non avevano capito», Mc 6,52), quello di Matteo si chiude invece con una confessione di fede: gli indizi che Gesù lascia ai discepoli e ai lettori («Sono io», Mt 14,27) sono sufficienti per prostrarsi ed esclamare: «Davvero Tu sei Figlio di Dio” (Mt 14,33). In effetti, solo Dio può camminare sulle onde del mare, è scritto nel libro di Giobbe («Dio dispiega i cieli e cammina sulle onde del mare»; Gb 9,8); solo chi è come Dio può fare quello che ha fatto Gesù. È vero, anche Mosè ed Elia hanno attraversato le acque del mare (cf. Es 14,21; 2Re 2,8), ma l’uno sull’asciutto e l’altro sopra il suo mantello. Solo Gesù vi può camminare sopra. Ecco perché a Pietro non è concesso. Uscendo dal senso letterale del testo che stiamo leggendo, l’insieme della scena rappresenta una catechesi ecclesiologica sulla presenza del Risorto nella Chiesa di Matteo, ovvero decenni dopo la morte e risurrezione del Cristo: con Gesù, il Dio che è con i suoi, la Chiesa sa di poter vincere le paure che condivide con Pietro e approdare al porto desiderato. Forse non serve nemmeno saper camminare sulle acque: in fondo Gesù non l’ha mai chiesto a Pietro (è lui che si è offerto, mettendosi alla prova, e quando ha distolto lo sguardo dal Maestro, è affondato). È invece necessario far salire Gesù sulla barca: così facendo, il vento cessa (cf. v. 32) e gli uomini lì raccolti possono finalmente compiere la traversata, perché altri vengano guariti, anche solo toccando la frangia della veste del Messia (cf. Mt 14,36).
Nessuno dei presenti ha mai visto qualcuno camminare sulle acque, tanto che per molti è difficile credere ai racconti di miracoli di Gesù sulla natura. Quelli poi, anche tra gli studiosi e i biblisti, che sono propensi a ritenere che molte guarigioni raccontate nei vangeli sono guarigioni da malattie psicosomatiche, difficilmente crederanno alla storicità del nostro racconto. È da sottolineare che lo scopo dei vangeli non è quello di raccontare esattamente come storicamente sono avvenute le cose lì narrate, ma è pur vero che alcuni punti – come i racconti dei miracoli – definiscono chiaramente chi è il Gesù a cui noi ci riferiamo. Per i cristiani non è semplicemente un profeta, ma è il Messia, ed è Dio stesso, il Dio con noi. Se togliamo a Dio la possibilità di compiere miracoli sulla natura, non riconosciamo che è lui il creatore dell’universo. Inoltre, Gesù ha vissuto nella terra di Israele, e come i rabbini dicono, su quella terra benedetta i miracoli non solo sono possibili, ma sono la normalità.
- Fonte del commento – il sito “La Parte Buona”
- Commento a cura di p. Giulio Michelini