Con la pagina del vangelo di questa domenica prende l’avvio quella che potremmo definire come la terza parte del vangelo di Matteo. L’innesco viene dalla comunicazione che Gesù dà ai suoi discepoli sul suo prossimo pellegrinaggio a Gerusalemme, che sfocerà nella sua morte e risurrezione. Tutto quanto viene narrato dopo il suo primo annuncio della passione (16,21-23) trova il suo significato in queste parole, sia gli episodi che riguardano il primo tratto di cammino di Gesù che riparte da Cesarea di Filippo (16,21–17,27), sia il discorso ecclesiale, il quarto grande discorso di Gesù (18,1-35), e infine gli episodi che riguardano l’ultimo tratto di strada, fino a Gerico (19,1–20,34). Qualcuno ha notato che gran parte di questa sezione, almeno dal capitolo diciottesimo, è centrata sul registro delle relazioni e su un “codice domestico”, che interessa anche il cap. 20. Nonostante la gravità dei temi trattati in questa parte, l’aggancio con la vita – e quella quotidiana – è fondamentale.
Per tre volte Gesù nei vangeli sinottici parla della sua passione, della sua morte e della risurrezione, con annunci che si trovano, nel primo vangelo, in 16,21-23; 17,22-23; 20,17-19. In Matteo il primo annuncio del destino futuro che si compirà per Gesù è caratterizzato – rispetto a Marco e Luca – dalla formula che ricorre solo un’altra volta nel suo vangelo, in 4,17, «da allora Gesù cominciò a…». In più, rispetto agli altri sinottici, Matteo parla espressamente della città di Gerusalemme, che nel primo vangelo ha un ruolo importante. Da ciò possiamo dedurre che il contesto in cui Gesù prevede la sua passione e morte è quello di una delle feste di pellegrinaggio che portavano a Gerusalemme. Tale elemento emerge non solo grazie al verbo «radunarsi» che Matteo usa in occasione del secondo annuncio, in 17,22, e che potrebbe implicare il ritrovarsi insieme per iniziare un tale viaggio, ma proprio dall’utilizzo dell’espressione tecnica «salire a Gerusalemme» – questa volta per il terzo annuncio della passione, in 20,27-18 – che descrive il pellegrinaggio delle tribù del Signore alla città santa (cfr. Sal 122,4). In questo modo, Gesù viene presentato con un ebreo osservante che segue quei precetti che prevedevano per ogni maschio l’obbligo di salire tre volte all’anno a Gerusalemme, per le feste di Pasqua, di Pentecoste e delle Capanne (Es 23,17;34,23; Dt 16,16; 2Cr 8,13).
All’inizio dell’annuncio della sua passione Gesù usa il verbo «dovere», «essere necessario», che Matteo ha trovato in Mc 8,31, e che ricorrerà, con la stessa portata semantica cristologica, anche nelle parole che il Maestro dirà al momento del suo arresto, nel Ghetsemani, a Pietro che mette mano alla spada: «come si compirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?» (26,54). Il destino di sofferenza e morte che Gesù annuncia non è frutto di un capriccio divino, ma di una volontà che se è misteriosa o inaudita, è anche paterna, e che Gesù accoglie inaugurando un modo diverso di essere Messia. Ma poiché era difficile credere ad un Messia che avrebbe sofferto, sia al suo primo annuncio sia al Ghetsemani questo «dovere» non è compreso, e tutte e due le volte qualcuno, come ora Pietro (e per Gv 18,10, sempre Pietro anche nel Ghetsemani) vi si opporrà.
In questo primo annuncio Gesù si riferisce a coloro che saranno gli agenti della sua passione, «anziani, capi dei sacerdoti e scribi»; se le ultime due ultime categorie spariranno nel secondo annuncio, ritorneranno ancora, nel terzo. Si vede bene che gli avversari coi quali Gesù si scontra più frequentemente, i farisei, scompaiono nella fase cruciale della vita Gesù, ed entrano in gioco invece i capi dell’establishment politico e religioso del tempo.
La reazione di Pietro alle parole di Gesù sulla sua morte è di rifiuto: l’apostolo, che anche in ciò rappresenta i discepoli, nonostante la sua confessione appena formulata, prende in disparte Gesù per rimproverarlo. Questo gesto e le sue parole dicono la sua poca fede, della quale si prenderà però cura Gesù, quando lo porterà con sé sul monte della trasfigurazione. Gesù non invita Pietro ad andarsene da lui, come invece si poteva capire dalla traduzione «allontanati da me» di precedenti versioni, ma ad andare dietro di lui, perché Pietro con il suo rifiuto ha abbandonato il posto di discepolo che deve camminare dietro Gesù, e si è messo davanti a lui, facendolo inciampare. Anche se Gesù si rivolge a Pietro con lo stesso nome di colui che vuole dividerlo dal progetto del Padre («Satana», al quale Gesù dice proprio «Vai via»: 4,10), è pur vero che il primo degli apostoli non viene redarguito perché se ne vada, ma perché sia confermato nella sequela. È esattamente quanto viene richiesto non solo a lui, ma, come si legge nel versetto seguente, a tutti coloro che vogliono andare dietro Gesù.
Gesù ha iniziato il suo cammino verso Gerusalemme, e chi vuole essere suo discepolo, deve seguirlo.
- Fonte del commento – il sito “La Parte Buona”
- Commento a cura di p. Giulio Michelini