Padre Giulio Michelini – Commento al Vangelo del 11 Dicembre 2022

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Il Battista e Gesù

In questa terza domenica di Avvento ritorna il Battista. La scena del vangelo di Matteo inizia nella fortezza-prigione di Macheronte, nell’attuale Giordania. Giovanni era stato imprigionato lì, e non lo sappiamo dai vangeli, ma dallo storico ebreo Giuseppe Flavio, che nelle Antichità Giudaiche scrive che Erode lo aveva inviato in catene a Macheronte, e là fu ucciso.

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Possiamo dividere il vangelo in due parti. Nella prima si vede all’opera la delegazione inviata da Giovanni a Gesù, e viene riportata la sua risposta. La prospettiva rispetto al rapporto che questi due avevano all’inizio del vangelo si inverte: se prima Giovanni parlava di «colui» che sarebbe dovuto venire, ora è Gesù a parlare del battezzatore, a seguito della sua domanda riguardante la possibilità che egli sia o meno il Messia. Attenzione: l’interrogazione di Giovanni – come Matteo ben precisa – è originata non dal suo aver visto qualcosa, ma dall’aver udito (v. 2), probabilmente perché l’evangelista vuole sottolineare la situazione del Battista che è in carcere e non ha potuto vedere quanto Gesù ha fatto; Giovanni ha però certamente potuto ascoltare il racconto delle sue opere.

Il senso della domanda del Battista implica che questi si attendeva un Messia secondo parametri diversi da quelli che gli riferiscono di Gesù, o che forse aspettava una realizzazione diversa della sua missione. Nel giudaismo precristiano il Cristo era immaginato in una decina di modi differenti (un Messia davidico, uno di Aronne, uno di Efraim, di Giuseppe, uno angelico, una personalità corporativa come il popolo di Israele…), e quello che sarà realizzato da Gesù è originale per tanti versi. Giovanni, come abbiamo già detto, doveva aspettarsi in particolare un Messia che avrebbe portato una soluzione radicale al peccato, ovvero l’estirpazione dei peccatori. Insomma, le opere che Gesù ha compiuto e di cui viene a conoscenza Giovanni non sembrano corrispondere pienamente alle sue aspettative.

La risposta che Gesù dà alla delegazione è “aperta”. Alla domanda “Sei tu?”, non vi si trova un “sì” (o un “no”), perché viene lasciato spazio all’interlocutore per decidere. Ogni decisione di fede in Gesù Messia, in fondo, deve avere come condizione previa la libertà. La stessa cosa accadrà nel processo davanti al Sinedrio: alla domanda di Caifa – simile a quella del Battista – Gesù risponderà «Tu l’hai detto» (26,64). La risposta alla delegazione, per il lettore del primo vangelo, tra l’altro, non può essere ancora definitiva: che Gesù sia o meno il «veniente» Messia è la questione di tutto il racconto, e infatti ritornerà al capitolo 16, con la confessione di Pietro, e sarà ripresa poi con la narrazione di altre opere e parole di Gesù, e avrà il suo climax, come detto, nella domanda di Caifa nel racconto della passione.

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Nel cuore della risposta alla delegazione, al v. 5, si trova una composizione da testi di Isaia che si riferiscono a cinque miracoli già narrati da Matteo (ciechi che vedono: 9,27; zoppi = paralitico: 9,5; lebbrosi: 8,2; sordi: 9,32; morti che risorgono: 9,18), e che raggiungono il culmine con l’opera di evangelizzazione dei poveri (cfr. 5,3 ecc.). La conclusione contiene poi una beatitudine, che forse mostra lo scandalo del dover accettare un Messia come Gesù: «Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Con queste parole Gesù sembra delineare una missione messianica profetica non di tipo sociale o politico, ma soprattutto di liberazione spirituale.

Nei versetti seguenti – la seconda parte di questa pagina – si descrive la delegazione che parte per tornare da Giovanni, e Gesù che ora si rivolge alle folle. Non sappiamo come abbia reagito il Battista, e se abbia potuto vedere in Gesù di Nazaret Colui che egli aveva annunciato e attendeva. La stima che Gesù ha di lui è comunque evidente, e si coglie dalla descrizione che fa del suo modo di vivere, opposto a quello dei ricchi: il Battista è il più grande profeta dell’economia che precede il Cristo, ma da un punto di vista umano. Chiunque sia entrato nell’economia del Regno annunciato da Gesù, e dunque nella nuova mentalità che lo riconosce come Messia, è infatti più grande di Giovanni. Anche se altre interpretazioni sono possibili, oggi molti commentatori tendono, sulla base di queste affermazioni, a vedere Giovanni come escluso dal Regno (non dalla salvezza), proprio come Mosè che – pur avendo portato il suo popolo fino al limite – non è riuscito a entrare nella terra.

Resta da capire se tale esclusione sia dovuta alla sua morte prematura (morte avvenuta per coerenza con la giustizia della Torà, di cui Matteo scriverà al c. 14) o al fatto che egli non sembra, in ragione della domanda a Gesù (11,2-3), averlo riconosciuto come Messia d’Israele.

Non tocca a noi giudicare! Il primo testimone di Cristo è stato certamene sottoposto al giudizio della misericordia del Messia Gesù. E la sua domanda («Sei tu colui che dobbiamo aspettare?»), vale anche per noi, è anche la nostra domanda.

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