LA RISURREZIONE1
Il flusso del tempo è simile a una spirale ascendente, lungo la cui linea troviamo dei momenti identici, ma trasferibili su un livello più alto. Questi momenti, per l’umanità in generale, costituiscono delle epoche, delle ère il cui contenuto viene condensato nelle grandi metafore che guidano, per un lungo tratto di tempo, un determinato comportamento qualitativo della civiltà. Per l’uomo concreto, che vive in un limitato segmento del più ampio ritmo metaforico, tali momenti vengono riassunti nelle ricorrenze liturgiche o cultuali che segnano le stagioni dell’anno rituale. Così, mentre la vita individuale è scandita nel corso dell’anno dalle celebrazioni liturgiche, il tempo cosmico è ritmato dalla successione delle metafore che segnano le ère della Creazione, della Giustizia, dell’Amore, della Libertà, della Conoscenza…
Momenti che si avvicendano come il motivo fondamentale di una sinfonia musicale. Se i musicisti nell’esecuzione non vi partecipano pienamente, c’è scadimento nel banale; così la ricorrenza liturgica, se non è vissuta intensamente, viene banalizzata nell’accessorio, nel marginale, nel folkloristico. In tal maniera il Giovedì Santo finisce con l’essere il giorno del pane di ramerino, il Venerdì Santo quello della processione di Gesù morto, il Sabato Santo quello dello Scoppio del Carro, la Pasqua la domenica dell’uovo benedetto!
Possiamo celebrare la Risurrezione in due maniere: o partecipando con tutto l’essere al suo contenuto, o vivendola nelle sue forme esteriori e decorative.
Chi partecipa con tutta l’anima alla celebrazione pasquale immette la parte migliore di se stesso nelle energie che il Risorto ha inserito nell’umana coscienza, per assurgere, attraverso la morte e il rinnegamento di se stesso, alla Vita nuova che sgorga dal sepolcro vuoto, e incamminarsi verso l’arioso tempio dello Spirito Santo. Vivere la Risurrezione è attuarla in se stessi, risorgendo, superandole, da tutte le mortificanti banalità del nostro personale esistere.
Se prima non si muore non si può risorgere, non vi è risurrezione senza morte, come non esiste riscatto senza schiavitù, luce senza tenebre, bene senza male. Per vivere la Risurrezione è necessario morire, chi non muore non risorgerà.
Molti sono i modi di morire, uno solo in verità costituisce il preambolo alla risurrezione: la morte del rinnegamento di se stessi; questa morte ci inserisce nella corrente della risurrezione, nella rivelazione consustanziale che ci rende una sola realtà, mediante l’ardore dello Spirito, con il Figlio e con il Padre.
Morire è necessario per risorgere, ma in questa morte non è la carne che muore. Niente è più immortale della carne, nulla più vincolante della carne. Pensiamo di fare la nostra volontà, invece si eseguiscono i comandi dello stomaco, del sangue, del sesso, dei nervi, delle voglie. Fintantoché eseguiamo gli ordini dell’organismo, esistiamo e non siamo né tenebra né luce, né bene né male, né verità né menzogna. Quando invece orientiamo le energie della nostra tremenda natura verso la conoscenza della sostanziale verità di essere spiriti immortali, spiriti eterni, figli del Padre, allora è possibile la morte che precede la risurrezione, allora moriamo e risorgiamo.
La carne, il sangue, i nervi, le velleità non dominano più, e veniamo a conoscere quello che nella realtà siamo: terra perché nati dalla terra, spirito perché nati dallo spirito, e perché tali chiamati a trasfigurare la terra in una pienezza di luce e di vita. Le opere della carne nella carne si esteriorizzano, le opere dello spirito nello spirito si sublimano. Se nella carne, nel perenne gioco della vita che fluisce, c’è una perennità di mutazioni, questa non può esistere nello spirito. Ogni avanzamento nello spirito è una conquista da cui non possiamo tornare indietro; i ponti e le navi sono bruciati. Sempre oltre, la gloria della risurrezione è continua, la sua animazione è costante.
Nel profondo dell’essere nostro, laddove il cuore osa far sentire il suo palpito, dove siamo soli, più soli di ogni solitudine, sentir ascendere la vita nel profondo abisso della morte, e vivere totalmente in questa realtà, comprendendo che essa sola ha un significato.
Vivere la Risurrezione! Ma essa non si vive riflettendovi per pochi istanti, per ritornare al più presto alle vecchie cose. Non si vive la Risurrezione ricordandoci ciò che fummo e turbandoci di ciò che saremo domani. La Risurrezione annulla l’ieri e ignora il domani. È l’oggi perenne, continuo, costante; in essa tutto è bruciato, ciò che rimane brucia della propria natura.
Vivere la Risurrezione nella inebriante certezza che il passato è un vuoto sepolcro! Vivere la Risurrezione nell’esperienza esaltante che Cristo è la Parola eterna vivente e operante nel tessuto denso della nostra esistenza. Egli scende nella nostra carne per farla vivere della vera vita; entra nelle nostre menti, nei nostri cuori e vi libera l’Eterno che vi era tenuto legato da morte ideologie, da limitato amore; varca le soglie dei nostri amati templi e li distrugge, per iniziare la costruzione del tempio non manufatto, ove Dio non sia invocato ma presente.
Penetra nelle nostre idee di razza, di popolo, di patria, di religione, e brucia i loro elementi caduchi ed egoisti, per far brillare la visione dell’Uomo vero, dell’uomo eterno non più vincolato a mète terrene, ma in cammino verso la vita senza fine, ove l’uomo finalmente si sentirà figlio di Dio. Avvicina le nostre tradizioni venerabili e plurisecolari, e vi risveglia un’inquietudine di vita e di verità che farà dileguare tutto ciò che in esse è sorpassato e morto.
Vivere la Risurrezione è immergersi nell’ebbrezza della vita che è oltre tutte le possibili morti; è sperimentare che il Risorto è il movimento vitale che sprona le coscienze verso più verità, più amore, più libertà; è sentire che il Risorto, non più contenibile in nessuna forma, è la piena fioritura di ciò che è, è l’eterno rinnovamento della coscienza, la risurrezione di tutti gli istanti della nostra esistenza di uomini.
1 Giovanni Vannucci, «La Risurrezione». Domenica di Pasqua – Anno B -, in Verso la luce, 1a ed. Centro studi ecumenici Giovanni XXIII, Sotto il Monte (BG) ed. CENS, Milano 1984 – Pag. 67-70.
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