padre Giovanni Vannucci – Commento al Vangelo per domenica 23 Ottobre 2022

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LE DUE FORME DI PREGHIERA 

Giovanni Vannucci O.S.M., «Le due forme di preghiera!» – Anno C; in La vita senza fine 

Pregare significa immergersi nella  vita dello Spirito liberandosi dal peso della  carne mortale, assurgere, mediante il  pensiero, a mondi superumani. La  preghiera senza debolezze o rimpianti  contraddistingue la coscienza sulla strada  dell’ascesa. Davanti a Dio non contano le  opere, ma la piena coscienza della propria  indigenza; la consapevolezza della  propria vacuità attrae le forze che  scendono dall’alto e giustifica l’uomo. 

Due uomini salirono al tempio a  pregare: uno pieno di meriti e di opere  buone, di dottrine e di teorie sull’Eterno;  l’altro, un emarginato, consapevole solo  della distanza che lo separava  dall’Infinito. Il primo fa, nella preghiera,  un generoso e circostanziato elogio di se  stesso; l’altro ripete una sola frase:  Signore, abbi pietà di me peccatore! Il  primo uscì dal tempio senza essere stato  visitato dalla misericordia divina; il  secondo se ne tornò a casa sua giustificato  (cf. Luca 18, 9-14). 

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Nel primo l’immagine soddisfatta  di se stesso si era sostituita a Dio; la  perfetta umiltà del secondo lo rese atto a  incontrare il vero volto di Dio. E fu, tra i  due, il vero orante. 

Il fare orazione è l’occupazione  massima di uno spirito intelligente, di una  mente aperta al soffio divino. Chi fa  orazione è simile a un pescatore di perle:  ogni tanto risale in superficie per riempirsi  d’aria i polmoni e per potere in tal modo  continuare il suo lavoro. Chi fa orazione  ascende nello spazio divino e respira la  pienezza del soffio spirituale; dopo può  

sprofondare nelle miserie e nelle bassezze  dell’esistenza; egli sa che sopra la nebbia  c’è il sole, sopra le acque limacciose c’è  l’aria pura che può respirare quando  vuole. 

L’orazione è perciò un lavoro  interiore che opera l’individualizzazione  della verità, realizza quel quantum di  conoscenza che lo strumento mentale può  adire. Le perle più belle non le pesca chi  molto indugia sul fondale, ma colui che  sale di frequente alla superficie delle  acque. La salita alla superficie delle acque  rivela l’inesattezza di tutte le visioni che  dalla luce dell’aria pura e libera sono sorte  nella mente durante la sua permanenza  nel fondale. La vera visione dell’Infinito la  possiede chi, alla superficie delle acque,  diventa infinito. 

Chi fa orazione entra nel tempio  interiore e ivi adora Dio in spirito e verità.  L’orazione così diviene ascesi, il grande  pensiero distrugge le vane fantasticherie,  la grande forza soccorre ogni debolezza. Il  vero orante non è migliore degli altri, ma  ha sugli altri il vantaggio di conoscere il  proprio limite: «Signore abbi pietà di me  che sono un peccatore» (Luca 8, 13). 

In ogni forma religiosa è sempre  dato un grandissimo posto  all’interiorizzazione. Le pratiche del culto  esterno, le decime, i digiuni, l’osservanza  dei precetti sono considerati utili,  necessari in certi casi, ma sempre di  secondaria importanza di fronte all’azione  spirituale. Solo nella pienezza dello 

Spirito, infatti l’uomo può dire di essere; e  l’uomo si avvicina alla pienezza dello  Spirito attraverso l’opera interiorizzatrice  dell’orazione, che lo pone di fronte al suo  reale nulla e di fronte al reale tutto di Dio. 

Colui che penetra solo una volta  nell’intimo asilo della conoscenza, ove  l’intelletto incontra il cuore e il cuore  l’intelletto, sa per esperienza cosa ivi si  trovi e non può staccarsene più; il difficile  è penetrarvi. 

L’impegno religioso consiste nel  rimuovere gli ostacoli che impediscono la  discesa in noi stessi e l’ascesa  nell’assoluto. Per questo ogni forma  religiosa insiste su precettistiche,  osservanze, riti: essi hanno la specifica  funzione di predisporre lo spirito al  raggiungimento di questo stato. Più  l’uomo si libera dal le forme passionali,  più esce dal piano contingente e più  attinge ai vertici dello Spirito. Più attinge  ai vertici dello Spirito più si rende capace  di individuare il punto supremo in cui  tutto si fonde nell’unità piena, e raggiunge  la perfetta umiltà e la piena liberazione in  Dio. 

Allora la vita è bellezza, gioia e  libertà, allegrezza di ogni ora e sicurezza  del sempre, e il tempo e lo spazio non  hanno più alcun significato. 

L’umile che incontra per la sua  interiore vacuità, il mistero divino viene  giustificato. Il mio e il tuo si perdono per  lui in un vuoto di significati, così  l’orgoglio delle opere buone compiute,  l’onore e disonore, la ricchezza e la  miseria, la salute e la malattia. Tutto ciò  che inorgoglisce gli uomini, ciò che  affascina, che interessa e che inchioda gli  uomini nel mondo che passa, perde ogni  importanza. 

La parola cristiana mira alla  trasformazione dell’uomo di creta in  uomo dello Spirito, alla realizzazione della  redenzione dal piano delle apparenze. 

Seguire la via cristiana non è facile;  chi vi si impegna rimane appagato in  pieno di ogni suo desiderio, di ogni sua  aspirazione; per essere cristiani bisogna  prima compenetrarsi della convinzione  dell’inutilità di molte, troppe cose. Non è  facile rinnegare se stessi e questa è la  prima condizione; e rinnegare se stessi  non significa solo rinunciare a questo e a  quello, significa in tutte lettere rinunciare  a noi medesimi, essere morti vivendo:  «Solo chi non vorrà salvare la sua vita la  salverà» (Luca 17, 33). 

La redenzione, la giustificazione si  compie in noi contemplando ciò che Dio è  in sé: tale è la via del pubblicano; non  contemplando ciò che Dio è nella nostra  mente, come fa il fariseo. Incontriamo il  mistero divino non umanizzando in noi  Dio, ma sforzandoci di illuminare la  nostra natura nel mistero divino. 

L’amore di Dio non è il nostro  amore, è l’amore di Dio in sé. Non l’amore  delle proprie virtù, della propria  osservanza, della propria interiore  dolcezza, del proprio cardiaco  intenerimento. Questo amore è  sentimento, deificazione di se stessi, non è  l’annullamento del nostro essere in Dio. 

Il cuore dell’uomo, nell’orazione  umile, esce da se stesso, si immerge in Dio,  fiorisce nella verità. Dio è in noi come altro  da noi, come negazione di noi!

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