LA MISERICORDIA
Estratto da “La vita senza fine” di Giovanni Vannucci – O.S.M.
«Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano […]. Da’ a chiunque ti chiede; a chi prende del tuo, non richiederlo. […] Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche chi non crede in Dio fa lo stesso. […] Amate invece i vostri nemici […]. Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato» (Luca 6, 27-37).
Questa è una delle numerose pagine del Vangelo che ci lasciano profondamente sconvolti e tristi. Chi di noi è all’altezza di questa pagina? Di fronte a essa, se siamo onesti, dobbiamo dire che non siamo cristiani.
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Tuttavia pensiamo insieme alle linee semplici di questa pagina del Vangelo.
Cos’è il cristianesimo? Il cristianesimo è il «portare avanti» la vita, è l’introdurre la vita dovunque c’è una manchevolezza di vita, ovunque c’è un ripiegamento in se stessa della vita. Il cristiano interviene «portando avanti» la vita: nell’odio introduce l’amore, nelle parole dure introduce la benevolenza, nella durezza di cuore introduce quelle forze che disgelano il cuore. Il cristiano è preoccupato di una sola cosa: di portare la vita, al di là di tutte le ingiustizie possibili a noi uomini, al di là di tutte le visioni moralistiche della vita, al di là di tutte le interpretazioni giuridiche anche del cristianesimo e di tutti gli indurimenti istituzionali del cristianesimo.
La Chiesa scomunica, e il cristiano continua ad andare a braccetto con chi è scomunicato. La Chiesa può condannare, dichiarare peccatore uno, metterlo sul rogo, e il vero cristiano brucia sul rogo con colui che è condannato. Perché il cristiano deve unicamente e solamente portare la vita.
Questa credo sia l’interpretazione più semplice e anche più profonda del cristianesimo. Il cristiano dov’è la malattia porta la salute, dov’è la tristezza cerca di portare la gioia, dove ci sono persone soffocate dalla durezza delle istituzioni, «entra dentro» e le spezza, perché l’uomo sia libero. Dove c’è odio il cristiano «entra dentro» e diffonde amore, pagando sempre di persona, perché la vita si afferma sempre attraverso il sacrificio dei figli migliori dell’umanità. Non c’è altra via: anche a noi cristiani non è offerto un sentiero più comodo per poter esser vicini al nostro Maestro.
C’è un altro punto nel brano evangelico di Luca che mi pare molto importante e sul quale ho riflettuto a lungo. Noi siamo troppo abituati a leggere il Vangelo come una serie di insegnamenti, di direttive, di precetti, di comandi, di conoscenze che ci vengono da Cristo, e li riceviamo dall’esterno. Anche queste parole: «Amate i vostri nemici» (Luca 6, 27), le sentiamo risuonare nei nostri orecchi come se ci venissero dall’esterno.
Io penso che il cristianesimo comincia a nascere in noi quando ci identifichiamo col Cristo e sentiamo come urgenza insopprimibile della nostra esistenza quelle direttive che leggiamo nel Vangelo, e che devono essere nostre.
Ciascuno di noi dovrebbe sentirsi Cristo nella vita, cioè portatore di quella vita di Cristo che è la vita del Cristo e la vita stessa di Dio. Perciò io non devo perdonare perché Cristo mi ha detto di perdonare, ma devo perdonare perché in me vive Cristo, in me pulsa la vita; devo portare la vita non perché Cristo ha portato la vita e ha detto: «Io porto la vita», ma perché la vita vive, si esplica, si applica, si muove, mi rende inquieto e insoddisfatto finché non ho dato tutta la mia vita dove la vita manca.
L’identificarsi con Cristo non sembri una bestemmia o una presunzione orgogliosa. Liberiamoci da tutti i concetti di falsa umiltà che ci sono stati inculcati: ciascuno di noi deve essere Cristo non per orgoglio, ma per trasformazione della nostra natura umana nella natura di Cristo. Io devo esser vivo: ovunque la mia persona passa, deve creare e diffondere i doni di vita come Dio.
Il fatto di perdonare, di amare, di donare, di donare nella maniera più folle – «Da’ a chi ti chiede, senza domandare indietro; a chi ti domanda il mantello, da’ anche la tunica» (Luca 6, 29-30) -, non deve essere osservato perché Dio ce l’ha detto, ma perché tale deve essere la nostra natura, se vogliamo essere cristiani.
Come il pane che si lascia transustanziare sull’altare, così ognuno di noi deve essere un pane che si lascia trasformare nella realtà di Cristo; allora tutto sarà semplice, tutto sarà naturale e tutto sarà conforme alle grandi leggi della vita.
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