Pablo Erdozáin – Commento al Vangelo del 3 Gennaio 2022

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Oggi nella Chiesa celebriamo la festa del Santissimo Nome di Gesù. La celebrazione di questa festa risale al XIV secolo, quando San Bernardino da Siena, un missionario francescano, iniziò a diffondere il culto del nome di Gesù. Lo ha fatto mostrando una tavoletta su cui ha raffigurato l’Eucaristia con raggi che uscivano da essa e con il monogramma “IHS” che significa “Iesus Hominum Salvator”, cioè “Gesù Salvatore degli uomini”.

Il Vangelo di oggi ci mostra che, secondo la legge di Mosè (Es 13, 11-16), otto giorni dopo la nascita del primogenito i genitori dovevano andare al Tempio per circonciderlo. E trascorsi quaranta giorni dopo la nascita, dovevano tornare al tempio per presentarlo e per la purificazione della madre.

È sorprendente considerare come Gesù, il nostro redentore, sia colui che sembra essere redento in questo Vangelo. E come Maria, che è tutta pura, si presenta al Tempio per essere purificata. Questo Vangelo ci parla dell’umiltà di Dio e della Beata Vergine.

Questo è uno degli insegnamenti che possiamo trarre dal Vangelo, Gesù e Maria fanno ciò che Dio vuole, ma non ne hanno bisogno, eppure lo fanno con piacere. Quante volte io e tu troviamo difficile fare la volontà di Dio nella nostra vita. Quante volte abbiamo la possibilità di ribellarci di fronte alle difficoltà della vita quotidiana, di fronte agli imprevisti di ogni giorno. Molto spesso diciamo di no a Dio. E mettiamo la nostra volontà davanti a quella di Dio. Gesù e Maria ci insegnano cos’è la vera umiltà: fare la volontà di Dio con gioia. San Josemaría diceva che “«La preghiera» è l’umiltà dell’uomo che riconosce la sua profonda miseria e la grandezza di Dio, a cui si rivolge e che adora, in modo da attendersi tutto da Lui e nulla da sé” (Solco, 259). Questo è ciò che ci insegna la Sacra Famiglia: vale la pena compiere la volontà di Dio, perché questa è la via della nostra felicità.

Il Vangelo ci mostra anche il grande valore che hanno i sacrifici agli occhi di Dio. Lo storico ebreo Flavio Giuseppe scrisse come, solo nella Pasqua del 70 d.C., i sacerdoti del Tempio offrirono sull’altare 256.500 agnelli. I sacrifici e le offerte nell’Antico Testamento non erano destinati a salvare, ma a insegnare (cfr. Gal 3, 24). Dando questi sacrifici a Dio, ogni persona del popolo d’Israele imparò ad offrirsi liberamente a Dio e a gioire nella sua volontà. Questo è il vero significato del sacrificio, mettersi a disposizione dei piani di Dio. Noi cristiani abbiamo l’immensa gioia di poter partecipare anche noi al sacrificio di Cristo nella Santa Messa. Questo sacrificio è davvero salvifico.

Sacrificio viene dal latino “sacrum” “facere”, cioè “rendere sacre le cose”, o anche onorarle o donarle. Giuseppe e Maria offrono una coppia di tortore e due giovani colombi. Offrono un sacrificio a Dio, lo onorano, si danno a Lui, sapendo che la salvezza viene da Lui. Come dice Papa Francesco: “La salvezza è nel nome di Gesù. Dobbiamo testimoniare questo: Egli è l’unico Salvatore”.

Gesù è il nostro salvatore, questo è ciò che celebriamo in questa festa del Santissimo Nome di Gesù. Questo implica che sappiamo di essere guardati con amore da Dio in ogni momento. È uno sguardo reciproco. Quando guardiamo il bambino nella stalla di Betlemme, in quel preciso momento Dio ci sta guardando con amore. Rivolgiamoci a Maria per sapere come onorare il nome di Gesù in ogni momento della nostra giornata.

Pablo Erdozáin


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