p. Roberto Mela scj – Commento al Vangelo del 1 Novembre 2019

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Tutti i santi: Vesti bianche di sangue

Sigilli e password

Il libro scritto sulla parte interna e su quella esterna – rotolo opistografo –, tenuto saldamente in mano da colui che siede sul trono nella pienezza dell’esercizio del potere, ha sette sigilli. Il piano di salvezza di Dio sulla storia ha bisogno di trovare una chiave d’accesso, una password, che ne permetta la lettura e la comprensione. In cielo tutti piangono, perché non si trova chi conosca la password.

Alla fine si avvicina al trono il Leone di Giuda, il Germoglio di Davide (cf. Is 11,1; cf. Ger 23,5 il germoglio giusto che sarà suscitato a Davide), che ha vinto (cf. Ap 5,15). Sarà lui ad aprire i sigilli, a immettere la password nel guazzabuglio incomprensibile delle opere dell’uomo. Immesso il codice, ogni realtà riceverà un suo posto, e anche quelle grigie e nere troveranno una loro luce e una loro fine nell’insieme del progetto di Dio.

La transcodifica riesce, e anche i luoghi oscuri vengono “sistemati” nel puzzle divino. L’Agnello immolato, ritto, vittorioso e risorto con la sua ferita mortale ben in vista, è il codice personale unico capace di transignificare i dati bruti della storia, i big data impazziti che aspettano impazienti un algoritmo giusto, che faccia il caso loro.

Il mistero pasquale della sua morte e risurrezione è il germoglio che l’Agnello offre al mondo per ritrovare il bandolo perduto della matassa. Il filo rosso che Arianna dà al suo amato Teseo per uscire con sicurezza dal labirinto di Cnosso a Creta diventa il filo rosso della pasqua dell’Agnello. È la cordicella di filo scarlatto (tiqwat ḥûṭ haššānāh) appesa da Raab alla finestra della sua casa sulle mura di Gerico, filo che salverà la vita a lei e ai suoi familiari (Gs 2,18.21; cf. Gs 2,8-21 e 6,22-25).

Cavalli, sole nero, luna come il sangue

I sigilli sono aperti uno a uno dall’Agnello (Ap 6,1.3.5.7.9). Sono “aperti /ēnoixen”, “svelate” le potenze che operano liberamente nella storia dell’uomo, anche nella loro efficacia malvagia e negativa, ma sempre sotto il controllo ultimo di Dio.

Quattro sono le potenze che appaiono “aperte”. La prima potenza operativa, possente, dinamica (“cavallo”) è di color bianco, il colore della vittoria pasquale di risurrezione, vittoria irradiata dal mondo divino a cui appartiene (cf. 6,1). È il primo cavallo a uscire, ed esce vittorioso e per vincere ancora. La linea di direzione è positiva, costruttiva, porta a un destino di gloria. L’imprinting iniziale e decisivo è la forza immessa nella storia dal mistero pasquale dell’Agnello. Non vi potranno resistere gli altri cavalli, anche se pure a loro sarà permesso di fare la propria corsa nella storia, imprimendo il loro segno negativo.

Il secondo cavallo, di colore rosso fuoco rappresenta le guerre incise nella carne degli uomini (cf. 6,3). Il terzo, di color nero, è l’emblema della morte che cavalca random nella storia, azzerando alla cieca le sorti di buoni e di malvagi. Il quarto, di color verde, simboleggia probabilmente la carestia di pane e di pace che illividisce gli uomini che camminano senza futuro.

Il quinto sigillo “aperto” (6,9), interpretativo e operativo nel cammino umano, “svela” coloro che sono stati immolati per la loro testimonianza data alla parola di Dio. Offerte sacrificali esistenziali (“sotto l’altare”), vite segnate dalla pro-esistenza testimoniale verso la parola Ultima. Esse invocano da Dio che sia resa loro giustizia, “vendicando” il loro sangue, dichiarando cioè corretto, innocente, positivo e “vincente” il dono generoso della loro vita. Anche la loro testimonianza è una costante operativa nella storia di ogni tempo, imprimendo un sigillo di vita donata nell’amore a un contesto di opposizione “bestiale” al loro operato.

Il contenuto del sesto sigillo è descritto a lungo (6,12–7,17). Il senso della storia comprende anche una sua fine, un suo giudizio, l’emersione chiara e indiscutibile su chi aveva ragione nella storia, anche se al momento non venne riconosciuta e fu aspramente combattuta. Il mondo e la storia vengono trasformati ora e saranno trasformati nella loro consumazione (terremoto grande, sole nero, luna di sangue ecc., 6,12-17).

La trama della storia è complessa, ma il libro dell’Apocalisse ci racconta che la sua trama di rivelazione (chiamata anagnōrisis nella retorica letteraria greca) farà conoscere in pienezza l’Agnello, il Personaggio vincente in modo definitivo dopo la tribolazione sofferta nella sua vicenda storica.

Il sigillo sulla fronte

La forza operativa della risurrezione segna però potentemente fin da oggi coloro che hanno affidato la loro vita all’Agnello, credendo in lui e vivendo fedelmente la loro testimonianza.

Quattro angeli, aiutanti di Dio, trattengono da ogni punto cardinale “i venti” perché non distruggano tutto prima che avvenga il giudizio. Un altro angelo sale da Oriente (“dal sorgere del sole”), da dove arriva la luce degli uomini, la luce della risurrezione che irradia ogni uomo che vive sulla terra. Ha in mano il “sigillo/sphragis” del Dio vivente e grida agli angeli preposti alla devastazione della “terra” e del “mare” – simboli entrambi del male, secondo l’Apocalisse – di arrestare provvisoriamente la loro azione.

Bisogna tener presente che, nel libro dell’Apocalisse, gli “uomini della terra” assumono un significato negativo e rappresentano l’umanità chiusa e refrattaria all’azione di Dio nella massificazione della loro esistenza segnata indelebilmente dall’avversione diabolica a Dio.

Ciò che nell’Apocalisse viene descritto in una sequenza temporale, va spesso interpretato come espressivo di una contemporaneità temporale. Mentre avviene il giudizio negativo di Dio sulle forze del male, si annuncia che queste non avranno l’ultima parola, perché nel contempo, sulla faccia della terra vengono “sigillati” con il sigillo del Dio vivente coloro che sono destinati alla vita e non alla morte seconda, la morte escatologica e definitiva.

Bene e male agiscono in contemporanea nelle viscere della storia, ma viene annunciata la vittoria di una moltitudine di giusti che fin d’ora hanno vinto e segnano positivamente di vita il tracciato ondivago dei giorni dell’uomo.

Essi appartengono a Dio, sono “schiavi” del Dio vivente, che ha donato l’Agnello alla storia. Con il suo sangue questi ha amato e liberato gli uomini che si sono aperti a lui, facendoli un regno e sacerdoti per il suo Dio e Padre (1,5b-6). Sulla loro fronte c’è il “sigillo/sphragis” battesimale di salvezza, e non il “marchio/charagma” impresso sulla mano destra e sulla fronte delle persone dalla Bestia, multinazionale pervasiva e schiavista di uomini materialisti e ciechi (13,116-17cf. 14,9.11; 16,2; 19,20; 20,4).

Moltitudine biancovestita

I “sigillati col sigillo/esphragismenōn” (7,4) a carattere indelebile a partire dalla loro fede irreprensibile in YHWH, il Dio vivente, appartengono al popolo delle dodici tribù di Israele che hanno vissuto nel tempo qualificato dalla sovranità salvifica di YHWH (simbologia del numero 1000; cf. 20,6) che le ha sigillate per se stesso ciascuna in modo intimo (12 x 12 x 1000 = 144.000; cf. Is 44,5; Ez 9, specialmente i vv. 4-6). Sono stipiti e architrave di una casa che ha sperimentato l’esodo definitivo, vincendo il Drago faraonico (cf. Es 12, 21-23).

Nello stesso tempo, rappresentano l’unità strettissima (x = il segno della moltiplicazione) dei rappresentanti delle dodici tribù di Israele, popolo dell’antica alleanza, e di quelli dell’alleanza rinnovata escatologicamente in Cristo Gesù, edificato sul basamento dei dodici apostoli (cf. 21,14), moltiplicati per 1000, il tempo di Dio e il simbolo del potere di Cristo Gesù: 12 (tribù) x 12 (apostoli) x 1000 (tempo qualificato di Dio e tempo del potere di Dio e di Cristo sulla storia) = 144.000 sigillati.

Coloro che appartengono a Dio, al mondo della risurrezione e della vita (colore bianco) sono però anche una “moltitudine immensa/ochlos polys”, incalcolabile dalla mente umana – ma non da quella di Dio. Essi provengono da ogni “nazione/ethnos”, “tribù/phylē”, “popolo/laos”, “lingua/glossē”. È la famiglia universale dei figli di Dio che fa corpo unico con il popolo eletto di YHWH.

La moltitudine immensa delle persone sta “ritta in piedi/estōtes”, la posizione dei risorti alla presenza della regalità sovrana di Dio (“thronon”) e di fronte all’Agnello. Sono avvolti in “stole bianche/stolas leukas”, lunghe vesti preziose e solenni (cf. Mc 12,38; Lc 15,22 [!]), sacerdotali e liturgiche (cf. Es 28,2.3.4; 29,5.21; 31,10; 35,18; 39,13; Lv 6,4; Nm 20,26; Sir 45,7), dorate e dal colore violetto e porpora (Sir 45,10), sante (Ez 10,7; 44,17.19; Mc 10,21), regali (Esd 8,15), angeliche (cf. Mc 16,5). Hanno “palme/phoinkes” nelle mani, simbolo di vittoria.

Le voci possenti dei sigillati salgono a lodare la salvezza che appartiene solo al Dio re e sovrano, e al suo Agnello. Gli angeli “del volto” di Dio (cf. Mt 18,10), gli angeli che lo servono, che stanno in cerchio attorno al trono della sovranità di Dio, ai 24 anziani del Primo e del Nuovo Testamento e ai quattro esseri che rappresentano l’universalità (quattro) della vita, si uniscono alla lode innalzata dai “sigillati”.

Tutti compiono la proskynēsis, la prostrazione onorifica dovuta a Dio e al re (cf. Mt 2,2; Lc 4,8!) e inneggiano a Dio attribuendogli in totale gratuità la lode, la gloria, la sapienza, il ringraziamento, l’onore, la potenza e la forza. Un accumulo impressionante di qualità che onorano e riconoscono la sovranità irraggiungibile e unica di Dio e del suo Agnello su ogni altra realtà celeste, terrena e infernale.

Bianche del sangue

Uno degli anziani si rivolge al Veggente di Patmos «divenuto in Spirito» (Ap 1,10) nel giorno del Signore, il giorno kyriale della domenica, e fatto salire “quassù” da una potente voce angelica di tromba (4,1) che lo fa “divenire in Spirito/genomenos en pneumati” nuovamente (4,2; cf. 1,10). In tal modo è reso capace di vedere le cose che devono accadere in seguito, di ascoltare le parole della profezia (1,3; 22,18), una parola di “rivelazione/apokalypsis” apocalittica (1,1).

L’anziano chiede al “Veggente di Patmos” di rivelargli l’identità dei sigillati e della moltitudine immensa rivestita di vesti bianche. Il veggente ammette la sua ignoranza e allora l’anziano gli rivela la loro identità profonda, che può essere conosciuta e rivelata solo dal mondo divino.

La moltitudine immensa biancovestita è costituita dagli uomini che provengono dalla grande tribolazione della persecuzione subìta a causa della fede nell’Agnello. Essi hanno lavato le loro vesti – simbolo antropologico della loro persona, della loro identità più profonda –, trasformandole da vesti profane, “terrestri”, dominate dal Drago e dalla Bestia blasfema, in vesti bianche di risurrezione, appartenenti al mondo divino.

Hanno operato questa trasformazione totale intingendo a fondo la loro vita nel mistero pasquale dell’Agnello, che ha conosciuto la vittoria dopo il dono generoso e totale della sua vita (= sangue).

L’Apocalisse è un libro di rivelazione e di profezia. Il suo messaggio non è catastrofico ma incoraggiante. Vuole sostenere la resistenza delle comunità tribolate dei discepoli dell’Agnello nei confronti della potenza demoniaca del Drago e della Bestia che opprime in tutti i tempi.

Un libro di resilienza, di incoraggiamento e anche di rimprovero per coloro che fossero tentati di cedere e di adattarsi al modello “terrestre” di vita propagandato ossessivamente dal Drago, dalla Bestia, dalla statua che si è posta al suo servizio, tramite il prezzolato profeta massmediatico – a capo dell’ufficio pubblicità –, capace addirittura di “animare la statua” (13,15).

I santi sono coloro che vivono il mistero pasquale nella resistenza al male e nell’assimilazione della vita del Risorto, che nasce dal battesimo in cui sono stati “sigillati” in modo indelebile da Dio e dal suo Agnello pasquale vittorioso.

Dono e impegno

Gabe und Aufgabe. “Dono e compito”. Il lessico tedesco risulta efficace nell’esprimere la fisionomia delle Beatitudini, il grande portale del Discorso della Montagna (Mt 5–7). Come plenipotenziario della volontà di Dio, quindi ben più di Mosè, Gesù sale su “il monte” e, seduto in posizione magisteriale, illustra ai Dodici e, in seconda linea alla folla generica degli uditori, il suo sogno circa il regno dei cieli.

Gesù è venuto dal Padre per annunciare la buona notizia di un mondo nuovo, la regalità di Dio, la sua sovranità (Herrschaft). Essa creerà fra gli uomini che la accetteranno un Regno (Reichtum) di persone che costituiscono un anticipo della pienezza di Dio tutto in tutti.

Il Regno viene come un dono (Gabe), ma per essere goduto esige un’accoglienza che si fa impegno (Aufgabe = lett. “sul-dono”).

Felicità a nove facce

Gesù annuncia nove promesse di felicità, le “Beatitudini”. Promesse certe, motivate dalla presenza sulla terra del Figlio di Dio che, venendo col Regno suo e del Padre, prende le parti dei poveri, dei fragili, dei peccatori. L’annuncio e la realtà arrivano in modo gratuito, immeritato. È l’annuncio frutto di una Presenza e di una Scelta.

L’evangelo, la buona notizia, si rivela in un volto che manifesta per primo la vita delle Beatitudini. Un volto, un Emmanuele che trasfigura il volto e l’anima della storia con l’immissione di una vita divina, una pro-esistenza che scardina le maglie ferree della malvagità umana. Accettando la sfida di una felicità dalle nove facce, il discepolo di Gesù trasforma il mondo.

Egli non è da solo. La Chiesa, popolo nuovo di Dio, popolo messianico, è l’ambito vasto dove è possibile al discepolo di Gesù sperimentare un modo nuovo di vivere. In essa è possibile respirare un’aria nuova, segnata dalla povertà gioiosa di chi si affida al Dio pro-esistente, il Dio della promessa affidabile.

La beatitudine è l’opposto della sfida diabolica a impostare la vita sull’egoismo narcisista, che fa dell’Io la misura di unità delle cose e delle persone, riducendo l’orizzonte vasto a una misera linea che circoscrive solo ciò che l’individuo-monade vede, tocca, sa e vuole.

È possibile vivere diversamente dagli hikikomori, i giovani isolati, in disparte dalla società, chiusi nella loro stanza illuminata quasi solamente dallo schermo del computer? È possibile vivere non dominati dall’incertezza perpetua, dall’ansia essenziale che striscia sottotraccia, da una sazietà insoddisfatta di cose e denaro, da una schiavitù priva di prospettive di lavoro, di relazioni, di affetti profondi, di una vita che “veramente” non finisce mai?

Posso essere come Dio in modo buono, non demoniaco?

Beati i miti

Anche riflettendo solo su una beatitudine si percepisce l’ebbrezza di tutte le altre otto. Ebbrezza perché un vento fresco scorre sul viso, ridando energia nuova a tutto il corpo.

Vuoi essere felice come Dio? Accetta la sua mitezza, vivi la sua mitezza. Guarda il volto e il cuore dell’Emmanuele e non vedrai violenza alcuna, se non la passione del suo amore.

Vuoi vivere solo accettando il demone della violenza verbale, fisica, intellettuale? Vivere nella continua autoaffermazione che si serve delle più sottili strategie per imporsi, dominare, rendere il male col male, impostare il tuo stile di vita sulla deterrenza prodotta dalle proprie qualità e dai propri mezzi?

Gesù promette una beatitudine – che non è felicità a buon prezzo – che farà ereditare la terra, farà ricevere in dono ereditario il cuore di tutti gli uomini, la bellezza di tutte le relazioni, la dolcezza di tutti i tramonti, il fruscìo leggero di tutte le nevi.

Alla mitezza appartiene l’ebbrezza di vincere il male con il bene, il dominare sulla pressone diabolica che vuole dividere, guerreggiare, imporsi, dominare.

Mitezza è l’ebbrezza di poter vivere senza alcun do ut des, come il peggiore dei mercanti della terra.

Mitezza non è debolezza moscia e perdente, ma forza del bene che vince sul male.

I miti non sono i perdenti della storia, ma sono il riflesso di Gesù. Che lo conoscano e credano in lui oppure no, lui li raggiunge con i suoi mezzi.

I miti sono vincenti perché non vinti dal male. Vincenti perché prendono in mano la propria vita come strumento di edificazione, unificazione, comunione. Vincenti perché non succubi e proni alla logica del più forte, del più ricco, del più potente di mezzi.

Vincenti perché riflessi del Dio mite, difensore dei poveri, degli orfani e delle vedove. Vincenti perché miti, tesi a conquistare i cuori con l’amore fattivo che ci “mette la faccia”.

Mitezza è l’ebbrezza di andare controcorrente, e non da soli, ma in una comunità di fratelli che credono e amano come te.

La mitezza eredita la terra, perché avrà fatto del volto dell’altro non un terreno di conquista, un volto di un avversario da battere, ma il proprio volto. Ama il tuo prossimo: è te stesso!

La mitezza mette in discussione, fa abbassare lo sguardo violento, interroga la coscienza che abbia ancora una briciola di umanità: “Vuoi per caso essere felice da solo? felice contro? felice senza? felice sopra?”.

Ti è fatto un dono, un Gabe.

Se vuoi, fanne un compito che ci costruisce sopra.

Un felice Aufgabe.

Commento a cura di padre Roberto Mela scj

Fonte del commento: Settimana News