Il tempo delle vacanze e delle migrazioni in massa dell’estate è terminato; si riprende a vivere secondo il ritmo e le abitudini abituali e spero che tra queste buone abitudini ci sia anche quella di ascoltare la parola di Dio della Domenica. Nel Vangelo leggiamo:
“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
Se il tuo fratello commette una colpa,
va’ e ammoniscilo fra te e lui solo;
se ti ascolterà, avrai guadagnato un fratello”.
Finalmente, dirà qualcuno, il Vangelo ci parla di qualcosa di facile e di piacevole! Fare osservazioni, criticare, gettare in faccia a qualcuno i suoi torti: non è forse, questa, una delle cose che ci riescono più naturali e più gradite nella vita? Ma la verità è esattamente il contrario. La genuina correzione fraterna, a differenza della maldicenza, è una delle cose che richiedono più libertà interiore e maturità, e proprio per questo una cosa assai rara al mondo.
La convivenza umana è intessuta di contrasti, di conflitti e di torti reciproci, dovuti al fatto che siamo diversi per temperamento, vedute, gusti. “Noi uomini, diceva sant’Agostino, siamo come vasi di terracotta che appena si urtano si feriscono”. Il Vangelo ha qualcosa da dirci anche su questo aspetto così comune e quotidiano nella vita. Cerchiamo perciò di raccogliere la sua lezione.
Gesù fa il caso di uno che abbia commesso qualcosa che è veramente e in se stesso sbagliato: “Se tuo fratello commette una colpa…”. Non restringe il campo a una colpa commessa nei nostri confronti. In quest’ultimo caso infatti è praticamente impossibile distinguere se a muoverci è lo zelo per la verità, o se non è invece il nostro amor proprio ferito. In ogni caso, sarebbe più autodifesa che correzione fraterna.
Perché Gesù dice: “ammoniscilo fra te e lui solo”? Anzitutto per rispetto al buon nome del fratello, alla sua dignità. La cosa peggiore sarebbe voler correggere un marito in presenza della moglie, o una moglie in presenza del marito, un padre davanti ai suoi figli, un maestro davanti agli scolari, o un superiore davanti ai sudditi. Cioè, alla presenza delle persone al cui rispetto e alla cui stima uno tiene di più. La cosa si trasforma immediatamente in un processo pubblico. Sarà ben difficile che la persona accetti di buon grado la correzione. Ne va della sua dignità.
Dice “fra te e lui solo” anche per dare la possibilità alla persona di potersi difendere e spiegare il proprio operato in tutta libertà. Molte volte infatti quello che a un osservatore esterno sembra una colpa, nelle intenzioni di chi l’ha commessa non lo è. Una franca spiegazione dissipa tanti malintesi. Ma questo non è più possibile quando la cosa è portata a conoscenza di molti.
Qual è, secondo il Vangelo, il motivo ultimo per cui bisogna praticare la correzione fraterna? Non certo il prurito di mostrare agli altri i loro torti, in modo da far risaltare la nostra superiorità. Neppure quello di scaricarsi la coscienza in modo da poter dire poi: “Io te lo avevo detto. Io ti avevo avvertito! Peggio per te se non mi hai dato ascolto”. No, lo scopo è “guadagnare il fratello”. Cioè il genuino bene dell’altro. Perché possa migliorarsi e non andare incontro a spiacevoli conseguenze. Se si tratta di una colpa morale, perché non comprometta il suo cammino spirituale e la sua salvezza eterna.
La correzione reciproca, se fatta nello spirito del Vangelo, è uno dei vantaggi più belli della vita di coppia. Potersi dire con tutta libertà quello che nessuno estraneo oserebbe farci notare: è un dono prezioso e un fattore di crescita nell’unità. Si legge di alcuni grandi uomini che pagavano qualcuno che fosse sempre loro accanto e facesse loro osservare ogni loro minimo errore!
Quando, per qualsiasi motivo, non è possibile correggere fraternamente, da solo a solo, la persona che ha sbagliato, c’è una cosa che, secondo il Vangelo, bisogna assolutamente evitare di fare al suo posto, ed è di divulgare, senza necessità, la colpa del fratello, sparlare di lui o addirittura calunniarlo, dando per provato quello che non lo è, o esagerando la colpa. “Non sparlate gli uni degli altri”, dice la Scrittura (Giacomo 4,11). Questo vale anche per chi riceve la confidenza maligna. Nella Bibbia troviamo una bella massima a proposito della mormorazione:
“Hai udito una parola? Muoia con te!
Sta’ sicuro, non ti farà scoppiare!” (Proverbi 19,10).
Il male, le notizie cattive e scandalistiche godono oggi di tanti canali di diffusione -giornali, telefono, televisione- che non occorre aggiungerne altri. Dobbiamo proporci di diventare dei terminal per il male; cioè, luoghi dove la calunnia, le dicerie, le malignità e ogni altra cosa negativa terminano, sono inghiottiti e sprofondano nell’oblio. Ogni volta che questo avviene, è una vittoria del bene sul male. Il mondo ne risulta un poco più pulito.
Una volta una donna andò a confessarsi da san Filippo Neri, accusandosi di aver sparlato di alcune persone. Il santo l’assolse, ma le diede una strana penitenza. Le disse di andare a casa, di prendere una gallina e di tornare da lui, spiumandola ben bene lungo la strada. Quando fu di nuovo davanti a lui, le disse: “Adesso torna a casa e raccogli una ad una le piume che hai lasciato cadere venendo qui”. La donna gli fece osservare che era impossibile: il vento le aveva certamente disperse dappertutto nel frattempo. Ma qui l’aspettava san Filippo. “Vedi -le disse- come è impossibile raccogliere le piume, una volta sparse al vento, così è impossibile ritirare mormorazioni e calunnie una volta che sono uscite dalla bocca”.
Tornando al tema della correzione, dobbiamo dire che non sempre dipende da noi il buon esito nel fare una correzione (nonostante le nostre migliori disposizioni, l’altro può non accettarla, irrigidirsi); in compenso dipende sempre ed esclusivamente da noi il buon esito nel… ricevere una correzione. Infatti la persona che “ha commesso una colpa” potrei benissimo essere io e il “correttore” essere l’altro: il marito, la moglie, l’amico, il confratello o il padre superiore.
Insomma, non esiste solo la correzione attiva, ma anche quella passiva; non solo il dovere di correggere, ma anche il dovere di lasciarsi correggere. Ed è qui anzi che si vede se uno è maturo abbastanza per correggere gli altri. Chi vuole correggere qualcuno deve anche essere pronto a farsi, a sua volta, correggere. Quando vedete una persona ricevere un’osservazione e la sentite rispondere con semplicità: “Hai ragione, grazie per avermelo fatto notare!”, levatevi tanto di cappello: siete davanti a un vero uomo o a una vera donna.
L’insegnamento di Cristo sulla correzione fraterna dovrebbe sempre essere letto unitamente a ciò che egli dice in un’altra occasione:
“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello,
e non t’accorgi della trave che è nel tuo?
Come puoi dire al fratello:
Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio,
e tu non vedi la trave che è nel tuo?” (Luca 6, 41 s.).
Quello che Gesù ci ha insegnato circa la correzione può essere molto utile anche nell’educazione dei figli. Dedichiamo un po’ di attenzione a questo tema. Non c’è nulla di più educativo per un padre o una madre che aspettare di trovarsi a quattr’occhi con il figlio, e lì, con calma (guai a farlo mentre si è ancora adirati!) parlargli, se si ha qualcosa da osservare sulla sua condotta.
La correzione è uno dei doveri fondamentali del genitore, vero banco di prova della sua capacità educativa. “Qual è il figlio che non è corretto dal padre?”, dice la Scrittura (Ebrei 12,7); Dio ci corregge proprio perché ci tratta da figli. E ancora: “Chi risparmia il bastone odia suo figlio, chi lo ama è pronto a correggerlo” (Proverbi 13, 24). “Raddrizza la pianticella finché è tenera, se non vuoi che cresca irrimediabilmente storta”. Forse oggi questo consiglio non si può prendere più alla lettera (almeno quello che parla di bastone); resta però che la rinuncia totale a ogni forma di correzione è uno dei peggiori servizi che si possano rendere ai figli.
Solo bisogna evitare che la correzione stessa si trasformi in un atto di accusa o in una critica. Nel correggere bisogna piuttosto circoscrivere la riprovazione all’errore commesso, non generalizzarla, riprovando in blocco tutta la persona e la sua condotta. Anzi, approfittare della correzione per mettere prima in luce tutto il bene che si riconosce nel ragazzo e come ci si aspetta da lui molto. In modo che la correzione appaia più un incoraggiamento che una squalifica.
Non è facile, nei singoli casi, capire se è meglio correggere o lasciar correre, parlare o tacere. Per questo è importante tener conto della regola d’oro, valida per tutti i casi, che l’Apostolo dà nella seconda lettura:
“Non abbiate nessun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole… L’amore non fa nessun male al prossimo”.
Bisogna assicurarsi anzitutto che ci sia nel cuore una fondamentale disposizione di accoglienza verso la persona. Dopo, qualsiasi cosa si deciderà di fare, sia correggere che tacere, sarà bene, perché l’amore “non fa mai male a nessuno”.
Fonte: il sito di p. Raniero
Qui tutti i commenti al Vangelo domenicale di p. Cantalamessa
Fonte della fotografia: https://www.incamm.com/2019/12/padre-raniero-cantalamessa-prima.html