Anche il Vangelo di questa Domenica รจ costituito da una parabola. Un uomo -dice Gesรน- aveva una vigna che aveva piantato lui stesso e a cui dedicava tutte le sue cure. Allโepoca della vendemmia, mandรฒ i suoi servi a ritirare i frutti. Ma che successe? I vignaioli uccisero alcuni dei servi e altri ne bastonarono. Ne mandรฒ altri che fecero la stessa fine. Gli restava solo il figlio. Pensรฒ: avranno almeno rispetto per mio figlio. Qui bisogna attenersi al testo esatto perchรฉ esso lascia giร trasparire la realtร storica cui si allude:
โI vignaioli, visto il figlio dissero tra sรฉ:
Costui รจ lโerede; venite, uccidiamolo, e avremo noi lโereditร .
E presolo, lo cacciarono fuori della vigna e lโucciseroโ.
Lโallusione a Gesรน che di lรฌ a poco verrร catturato, portato fuori della cittร e crocifisso รจ abbastanza chiara. Come in molti altri casi, Gesรน lascia tirare la conclusione agli ascoltatori. โChe farร il padrone della vigna?โ. Gli rispondono: โFarร morire quei malvagi e darร la vigna ad atri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempoโ.
Il senso รจ evidente: si parla del cosiddetto โrigetto di Israeleโ che nella Bibbia รจ spesso simboleggiato dalla vigna. Ma Gesรน lo esplicita, dicendo:
โPerciรฒ vi dico: vi sarร tolto il regno di Dio
e sarร dato a un popolo che lo farร fruttificareโ
Proprio in questa prima settimana di ottobre cade la giornata che, a partire dallo storico incontro del Papa in Assisi del 1986, viene ogni anno dedicata al dialogo tra le varie religioni. ร dunque lโoccasione propizia per occuparci una buona volta del tema del cosiddetto โrifiuto dโIsraeleโ che tante volte ricorre nei Vangeli e, piรน ingenerale, del rapporto tra cristiani e ebrei.
Una interpretazione semplicistica e trionfalistica di questa e altre simili pagine del Vangelo ha contribuito a creare quel clima di condanna degli Ebrei che ha portato alle tragiche conseguenze che sappiamo. Non รจ che dobbiamo abbandonare le certezze di fede che ci vengono dal Vangelo, ma basta poco per renderci conto quanto il nostro atteggiamento abbia spesso travisato il genuino spirito del Vangelo stesso.
Anzitutto, in quelle parole terribili di Cristo: โVi sarร tolto il regno di Dioโฆ!โ รจ lo straordinario amore di Dio per Israele che si esprime, non una fredda condanna. ร โuna passione dโamoreโ quella che si svolge tra Cristo e Israele. Egli disse un giorno di non essere stato inviato โse non per le pecore perdute dโIsraeleโ.
Si tratta inoltre di un rigetto pedagogico non definitivo. Anche nellโAntico Testamento cโerano stati dei rifiuti di Dio, come quello che si concluse con lโesilio in Babilonia. Uno รจ descritto da Isaia, nella prima lettura di oggi, con la stessa immagine della vigna (โVoglio farvi conoscere ciรฒ che sto per fare alla mia vigna: toglierรฒ la siepe, demolirรฒ il muro e verrร calpestataโ). Ma questo non ha impedito a Dio di continuare ad amare Israele e a vegliare su di esso.
S. Paolo ci assicura che anche questโultimo rifiuto, annunciato da Gesรน, non sarร definitivo. Anzi dovrร servire, misteriosamente, a permettere ai pagani di entrare nel regno. โForse -scrive- inciamparono per cadere per sempre? Certamente noโ. Lโapostolo fa anzi intravedere la futura riconciliazione tra Israele e i cristiani come una specie di risurrezione dai morti (cfr. Romani 11, 11.15). Egli va anche oltre. Dice che โse le primizie sono sante, lo sarร anche tutta la pasta e se รจ santa la radice, lo saranno anche i ramiโ (Romani 11,16). Per la fede di Abramo -che รจ la primizia e la radice- tutto il popolo ebraico รจ santo, anche se alcuni rami, dice lโApostolo, sono venuti meno.
Proprio Paolo, a torto ritenuto fautore della frattura tra Israele e la Chiesa, รจ quello che ci suggerisce lโatteggiamento giusto di fronte al dramma del popolo ebraico. Non autosicurezza e stupido vanto (โsiamo noi ormai il nuovo Israele, noi gli elettiโ!), ma piuttosto timore e tremore davanti allโinsondabile mistero dellโagire divino (โchi sta in piedi, veda di non cadere lui!โ), e piรน ancora amore per Israele che รจ โla radice e il tronco su cui siamo stati innestatiโ. Sentite cosa egli ha il coraggio di dire, a proposito degli ebrei:
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โHo nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anร tema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e possiedono lโadozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carneโ (Romani 9, 1-3).
Se tutti i cristiani in passato si fossero preoccupati di avere nel cuore questi stessi sentimenti nel parlare degli ebrei, la storia avrebbe avuto un corso ben diverso. Io ricordo lโesperienza che feci anni fa, sullโaereo che mi portava in pellegrinaggio in Terra Santa. Di colpo, leggendo il Vangelo, mi accorsi che dovevo cambiare completamente attitudine nei confronti degli ebrei, che in quegli anni erano attaccati da tutte le parti a causa dello spinoso problema palestinese. Dovevo in breve โconvertirmi a Israeleโ. Amarlo. Capii che lโostilitร di un cristiano verso gli ebrei ferisce anzitutto proprio Gesรน. โNessuno -รจ scritto- ha in odio la propria carneโ e gli ebrei sono i consanguinei di Gesรน secondo la carne. Gesรน amava profondamente il suo popolo. Egli pianse per la rovina imminente di Gerusalemme, non se ne rallegrรฒ come di una rivincita.
Non si puรฒ identificare semplicemente lโebraismo con lo stato dโIsraele, anche se le due cose non si possono neppure separare. Uno puรฒ non approvare certi aspetti della politica israeliana nei confronti dei palestinesi, senza per questo cessare di sentirsi solidale con Israele come realtร storica e spirituale.
Se gli ebrei un giorno dovranno arrivare (come Paolo ci dice di sperare), a un giudizio piรน positivo su Gesรน, questo dovrร avvenire per un processo interno, come approdo di una loro propria ricerca (cosa, questa, che in parte sta avvenendo). Non possiamo essere noi cristiani a sollecitarlo dal di fuori, cioรจ a cercare di convertirli. Abbiamo perso il diritto di farlo per il modo con cui questo รจ avvenuto nel passato. Dovranno prima essere risanate le ferite mediante il dialogo e la riconciliazione. Io non vedo come un cristiano che ami veramente Israele possa non desiderare che esso giunga un giorno a scoprire Gesรน che il Vangelo definisce โgloria del suo popolo di Israeleโ (Luca 2, 32). Non credo che questo sia proselitismo. Ma per il momento la cosa piรน importante รจ rimuovere gli ostacoli che abbiamo frapposto a questa riconciliazione, la โcattiva luceโ in cui abbiamo messo Gesรน ai loro occhi. Anche gli ostacoli presenti nel linguaggio. Quante volte, senza che ce ne accorgiamo, la parola โebreoโ ricorre in senso spregiativo, o almeno negativo, nel nostro modo di parlare.
A partire dal concilio Vaticano II, i rapporti tra cristiani e ebrei sono cambiati rapidamente in meglio. Il decreto sullโecumenismo ha riconosciuto a Israele uno statuto a parte tra le religioni. Lโebraismo non รจ semplicemente, per un cristiano, โunโaltra religioneโ; รจ parte integrante della nostra stessa religione. Adoriamo infatti lo stesso โDio di Abramo, di Isacco e di Giacobbeโ che per noi cristiani รจ anche โil Dio di Gesรน Cristoโ.
Visitando la sinagoga di Roma, Giovanni Paolo II chiamรฒ gli ebrei โnostri fratelli maggioriโ. Dappertutto si moltiplicano le iniziative di dialogo costruttivo. Non possiamo che ringraziare lo Spirito Santo per questo cambiamento e augurarci che esso continui e che dal dialogo ebraico-cristiano si passi a una vera amicizia ebraico-cristiana.
Il mio saluto finale oggi รจ quello che si legge nella Lettera ai Galati di san Paolo e che pronuncio rivolto idealmente a tutto il mondo ebraico, in Italia e fuori:
โSia pace e misericordia su tutto lโIsraele di Dio!โ
Fonte: il sito di p. Raniero
Qui tutti i commenti al Vangelo domenicale di p. Cantalamessa
Fonte della fotografia: https://www.incamm.com/2019/12/padre-raniero-cantalamessa-prima.html