p. Raniero Cantalamessa – Commento al Vangelo per domenica 1 Novembre 2020

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Il Vangelo di questa Domenica è il brano delle Beatitudini e inizia con la celebre frase:

“Beati i poveri in spirito
perché di essi è il regno dei cieli”.

L’affermazione «beati i poveri in spirito» è oggi spesso fraintesa, o addirittura citata con un risolino di compatimento, come qualcosa da lasciare credere agli ingenui. E infatti Gesù non ha mai detto semplicemente: “Beati i poveri in spirito!”; non si è mai sognato di dire una cosa simile. Ha detto: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”, che è una cosa ben diversa.

Si fraintende completamente il pensiero di Gesù e lo si banalizza quando si cita la sua frase a metà. Guai a separare la beatitudine dal suo motivo. Sarebbe, per fare un esempio grammaticale, come se uno pronunciasse una protasi, senza far seguire alcuna apodosi. Supponiamo che io vi dica: “Se oggi seminate…”; cosa avete capito? Nulla! Ma se aggiungo: “domani mieterete”, di colpo tutto diventa chiaro. Così, se Gesù avesse detto semplicemente: “Beati i poveri!”, la frase suonerebbe assurda, ma quando aggiunge “perché di essi è il regno dei cieli”, tutto diventa comprensibile.

Povertà è una parola ambivalente. Può significare due cose diametralmente opposte: la povertà come condizione sociale imposta, che disumanizza, e perciò da combattere; oppure la povertà scelta liberamente, come stile di vita da coltivare. In questa occasione, parliamo della beatitudine dei poveri, cioè della povertà positiva, lasciando per un’altra occasione il tema della povertà da combattere.
Nella Bibbia, non si parla mai di povertà materiale come scelta volontaria di vita, prima della venuta di Cristo. Al massimo si parla del dovere di soccorrere i poveri, ma mai di farsi volontariamente poveri. Perché? Semplice, perché non era ancora venuto il regno dei cieli! Non esisteva ancora quel motivo superiore, quel bene infinitamente più alto, per avere il quale diventa ragionevole rinunciare, se necessario, a tutti gli altri beni, perfino a un occhio, a una mano e alla vita stessa.

Ma cos’è questo benedetto regno dei cieli che ha operato la vera “inversione di tutti valori”? È la ricchezza che non passa, che i ladri non possono rubare, né la tignola consumare. È la ricchezza che non si deve lasciare ad altri con la morte, ma che si porta con sé. È il “tesoro nascosto” e la “perla preziosa” per avere la quale vale la pena, dice il Vangelo, dare via tutto. Il regno di Dio, in altre parole, è Dio stesso
La sua venuta ha prodotto una specie di “crisi di governo” di portata mondiale, un riassetto radicale. Ha aperto orizzonti nuovi. Un po’ come quando, nel Quattrocento, si scoprì che esisteva un altro mondo, l’America, e le potenze che detenevano il monopolio del commercio con l’oriente, come Venezia, si trovarono di colpo spiazzate ed entrarono in crisi. I vecchi valori del mondo -denaro, potere, prestigio- sono risultati cambiati, relativizzati, anche se non rinnegati, a causa della venuta del regno.

Chi è ormai il ricco? Un uomo che ha messo da parte un’ingente somma di denaro; nella notte c’è stata però una svalutazione del cento per cento; al mattino si alza che è un “nullatenente”, anche se ancora forse non lo sa. I poveri, al contrario, sono avvantaggiati dalla venuta del regno di Dio, perché, non avendo nulla da perdere, sono più pronti ad accogliere la novità e non temono il cambiamento. Essi possono investire tutto sulla nuova moneta. Sono più pronti a credere.
Chi ha messo in luce meglio di tutti questa nuova situazione è stata la Madonna nel suo cantico, il Magnificat. Dice:

“Ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote”.

Maria, come si vede, parla di tutto ciò come di cosa già avvenuta. Ma se interroghiamo la storia del tempo non troviamo nessuna rivoluzione di questo tipo. Al contrario i potenti, come Erode, sono rimasti sul trono, e gli umili, come lei e Giuseppe, hanno dovuto fuggire in Egitto per salvarsi. Per i ricchi ci fu posto nell’albergo di Betlemme, per lei e per Giuseppe no.

È vero. Ma guardiamo le cose con un po’ di distanza. Dove sono ora quei ricchi? Dove è Erode il Grande? Inghiottiti nell’oblio della storia o nel biasimo. Chi invece non conosce, non ricorda e non ama Maria, il suo sposo e il suo bambino? Quale delle due categorie è stata veramente “beata”: quella dei potenti e dei ricchi, o quella degli umili e dei poveri? La rivoluzione dunque c’è stata, e come!, ma nella fede, in un piano più profondo, non sul piano visibile e temporale.

Lo so, noi siamo portati a ragionare diversamente. Crediamo che i cambiamenti che contato sono quelli visibili e sociali, non quelli che avvengono nella fede. Diciamo: “Ah!, se ci fosse stata una vera rivoluzione sociale dei poveri e degli schiavi e avesse spazzato via, una volta per sempre, tutti i ricchi e i prepotenti!” Ma è proprio vero? Noi abbiamo conosciuto, nel secolo scorso, molte rivoluzioni di questo tipo, ma abbiamo anche visto quanto facilmente, dopo un po’ di tempo, esse finiscono per riprodurre, con altri protagonisti, la stessa situazione di ingiustizia che dicevano di voler eliminare.

Ci sono piani e aspetti della realtà che non si colgono a occhio nudo, ma solo con l’aiuto di una luce speciale. Vengono effettuate oggi, dai satelliti artificiali, fotografie ai raggi infrarossi di intere regioni della terra e come appare diverso il panorama alla luce di questi raggi! Esiste anche la possibilità di fotografare una zona “a luce radente”, dall’aereo, e scoprire così, addirittura, la composizione del terreno sottostante. Con questo metodo sono state scoperte in Val Padana città etrusche, rimaste fino a poco fa, sepolte. Ebbene il Vangelo, e in particolare la nostra beatitudine dei poveri, è questa “luce radente”, questi raggi infrarossi. Esso ci dà, della vita e del mondo, un’immagine diversa. Permette di cogliere quello che c’è sotto, o al di là, della facciata. Permette di distinguere quello che resta da quello che passa.

Non possiamo però accontentarci di richiamare alla mente solo alcuni principi e verità generali. Dobbiamo anche chiederci: cosa può fare concretamente, in questo campo, un cristiano o una persona di buona volontà? Senza pensare a scelte di povertà radicale (che pure sono ancor oggi possibili e praticate da non pochi che vi si sentono chiamati), c’è qualcosa che tutti possiamo fare: sobrietà, moderazione, no allo spreco, no al consumismo, no al lusso sfrenato che è un insulto a tanta povera gente!

È chiaro che non è l’abbondanza dei beni materiali per se stessa che può escludere dal regno, ma l’uso cattivo che se ne fa. Uno potrebbe essere ricco di beni, ma “povero in spirito”, cioè distaccato, pronto a usare le risorse per il bene anche degli altri. Per esempio, creando nuovi posti di lavoro, anziché aprire nuovi conti in banca, o costruirsi nuove ville.

Noi italiani soffriamo del complesso di chi ha avuto un’infanzia di stenti o ha sofferto la fame da bambino (e questo, in parte almeno, ci scusa). Una persona del genere, trovandosi davanti all’abbondanza, si butta avidamente su tutto, quasi per rifarsi o per paura di perderlo ancora. Eravamo “povera gente”, ora siamo contati tra le nazioni più ricche del mondo. Questo, è chiaro, è un bene, di cui dobbiamo ringraziare Dio e la generazione che, con tanti sacrifici e tenacia, l’ha realizzato dopo la guerra. Ma è necessario che troviamo ora un equilibrio. Il benessere ci ha dato un po’ alla testa.

Un piccolo particolare. Stando in Inghilterra, ho notato una cosa. Un inglese, mostrandoti la sua auto, dirà con orgoglio che ha dieci anni e va ancora perfettamente bene. È fiero delle cose che durano nel tempo. Un italiano, di solito, è fiero solo quando può dire che la sua auto è nuova fiammante.

Ma voglio dire anche qualcosa in positivo. La scelta della povertà e semplicità di vita, intesa bene, è una scelta per la gioia. Gesù promette “beatitudine” ai poveri in spirito, cioè la felicità, la gioia del cuore, e non solo nell’altro mondo, ma anche in questo. È molto significativo che san Francesco d’Assisi, il santo della povertà, sia conosciuto anche come il santo della perfetta letizia e della fratellanza universale. Non possedendo nulla, egli sapeva godere di tutto. Tutto era suo, il sole, la luna, le sorgenti, gli animali. Francesco e Chiara erano un po’ come Adamo ed Eva all’indomani della creazione. Gente che “non ha nulla e possiede tutto”, li chiama san Paolo. Il contrario di quello che succede all’avaro insaziabile. Volendo possedere tutto, egli non gode di nulla; non trova alcun gusto a contemplare un’opera d’arte in un museo, o un tramonto sulle Dolomiti. Non trova alcun interesse in ciò di cui non può dire: “È mio! Mi appartiene!”.

La semplicità e sobrietà rappresenta, in secondo luogo, una scelta di libertà e questo già sul semplice piano umano. Le troppe cose, i bisogni inutili e artificiali creano assuefazione e rendono incapaci di qualsiasi rinuncia e adattamento al cambiamento. Soffocano i valori più profondi e rendono schiavi del bisogno. La felicità non consiste nel poter soddisfare tutti i bisogni, ma nell’avere meno bisogni possibile da soddisfare.
Mi piace ricordare -per rimanere su questo piano umano e per così dire laico- le parole di uno scrittore inglese, Jerome K. Jerome, autore del famoso Tre uomini in barca. (Un umorista che però, in questo caso, parla seriamente): “Quanta gente nel viaggio lungo il fiume della vita, carica, fino quasi a farlo affondare, il proprio battello di una infinità di cianfrusaglie che crede necessarie perché il viaggio stesso risulti piacevole, ma che sono in realtà inutili e senza importanza. Perché non fare piuttosto che la barca della nostra vita sia leggera, carica solo delle cose di cui c’è veramente bisogno: una casetta accogliente, piaceri semplici, uno o due amici degni di questo nome, qualcuno da amare e qualcuno che ti ama, un gatto, un cane, una pipa o due, il sufficiente per mangiare e per coprirsi. Troveremmo che in questo modo è molto più facile spingere la barca. Avremmo tempo per pensare, per lavorare e anche per bere qualcosa standocene sdraiati al sole”.
Non è certo l’ideale evangelico della povertà per il Regno, ma almeno fa vedere come esso non sia contrario alla felicità umana, ma sia anzi un suo potente alleato.

Fonte: il sito di p. Raniero


Fonte della fotografia: https://www.incamm.com/2019/12/padre-raniero-cantalamessa-prima.html