Interrogativo sano e fondamentale scaturisce dal cercare di capire come ci gettiamo nella vita. Possiamo entrare nella vita oggi con un atteggiamento magari positivo, perché in essa vogliamo impegnarci, ma allo stesso tempo deleterio perché la nostra interiorità è oppressa dalla sfiducia. È l’eterna ricerca di bene che vive fianco a fianco con la negatività del male, con la divisione che c’è in noi e intorno a noi, con la ricerca di chi e cosa non funziona, dimentichi del continuo bisogno che abbiamo di conversione.
È innegabile il fatto che più noi ricerchiamo il bene e più il male alzi il tiro. Non possiamo passare la vita lamentandoci del fatto che noi facciamo il bene, mentre viviamo un non essere ricompensati per quello che facciamo. Il bene ha valore in sé e non per la ricompensa che riceve indietro e i riconoscimenti di ogni genere. Anzi, i riconoscimenti troppo spesso sono indice del fatto che il nostro bene ha la coda di paglia, è una casa costruita sulla sabbia più che sulla roccia.
Credo sempre più che il punto di partenza, per entrare oggi nella vita, sia quello di riconoscere il bisogno di conversione. Abbiamo bisogno di dire e di pregare “Padre Nostro”, per accogliere il vero dono della vita. Non possiamo continuare a vivere divisi tra i nostri bisogni e i nostri desideri, tra la nostra ricerca di bene e il nostro fare il male. È cosa naturale che questo avvenga, ma non è motivo sufficiente per non prendere sul serio questa divisione che c’è in noi, ricominciando ogni giorno dall’unità di interiorità della nostra esistenza. L’unità iniziale è questa: riconoscere la nostra intima e innata divisione. Se non vogliamo cadere nell’inganno di chiamare bene ciò che è male e male ciò che è bene, il punto di partenza è cogliere che il nostro occhio sia accecato dalla trave del bisogno di vedere il male nell’altro. Il secondo passo è dato dal riconoscere che il nostro cuore è ferito dal nostro occhio accecato. Il passo mattutino è solo questo: ho bisogno di conversione; per quanto male io possa cogliere intorno a me o parto da questo, oppure il mio tuffarmi nella vita sarà sempre inficiato da quella negatività accecante che è il giudizio sull’altro. In tal modo il bene sarà chiamato male e il male bene semplicemente perché è bene ciò che mi permette di difendermi ed è male ciò che non me lo permette; è bene ciò che mi permette di accusare l’altro, anche l’Altro, ed è male ciò che non me lo permette.
È importante che noi, con Gesù, ci chiediamo da che spirito viene la nostra azione. Non riconoscerlo giudicando la sua impurità è peccato contro lo Spirito. Pensare che lo Spirito di Gesù sia cattivo presuppone che il nostro sia buono: questa presunzione di avere lo spirito buono è non essere disposti a convertirsi. È il fariseismo allo stato puro: essere ciechi con la convinzione di essere vedenti.
Peccato, infatti, non è tanto il male che si fa, quanto il non ammetterlo per giustificarsi. Il vero peccato è difendersi giudicando cattivo l’altro/Altro. È l’eterno inganno del serpente con Adamo che si perpetua in noi facendoci ritenere bene ciò che è male e male ciò che è bene.
L’attenzione che dobbiamo porre ogni giorno per non tornare dal Padre della Luce al padre delle tenebre, è passo essenziale per mantenere vivo il desiderio di bene e, dunque, il bisogno di conversione.
Perché il male alza il tiro di fronte al bene e ci ritroviamo nelle paludi dell’impantanamento proprio quando eravamo convinti di essere bene? Semplicemente perché il male, non rassegnato alla sconfitta, è furibondo, alza il tiro. È necessario mantenere con costanza e perseveranza il dono della Luce della Parola, resistendo nella fede per non ricadere nella schiavitù di prima, schiavitù di menzogna. Il non avere paura del male è via per vincere perché tiene salda in noi la fiducia nel Padre di ogni dono.
Non lasciamoci ingannare: in noi vive il male con il bene e ciò che è necessario è non confondere i due illudendoci di non avere bisogno di conversione. Questo fariseismo accecante non ci permette di vedere il male che c’è in noi. È spirito muto e sordo che non permette allo Spirito di gridare in noi “Padre Nostro che sei nei cieli”.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli
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