p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 9 Giugno 2020

Saremo beati se accetteremo di essere degli scardinatori della radice dell’ingiustizia, come lo è stato Gesù, il beato per eccellenza. La radice dell’ingiustizia, per il vangelo e per noi che accogliamo la Buona Notizia, è evidenziare sempre più il nostro credere che beati sono i ricchi, chi possiede, chi domina, chi fa la voce grossa così da obbligare altri a fare il bene che lui ha deciso di non fare. Se noi crediamo a questo, come lo crediamo, siamo conniventi con le ingiustizie commesse. Il mondo bello e buono è frutto solo di un capovolgimento da beati di questa ingiustizia, per potere vivere della giustizia di Dio. Allora potremo essere luce del mondo e sale della terra, secondo il Padre Nostro che è nei cieli. La difficoltà e l’avversione alla giustizia di Dio si esprime, ormai lo sappiamo, attraverso la persecuzione. Siamo chiamati ad essere come Cristo la cui croce è divenuta strumento di dono e dunque di salvezza. La beatitudine ingiusta del mondo ci porta a rifuggire la fatica e il pagare la bellezza del dono. La beatitudine giusta secondo il Padre ci dice che la fatica e la sofferenza del dono sono realtà che inverano il dono.

La testimonianza è insieme sale, nascosto ma ben percepibile, e luce, palese e visibile, che fa godere a tutti la gloria di Dio che è l’uomo vivente. È la caratteristica fondamentale dell’essere discepolo quella di non essere percepito. Se tu guardi la luce direttamente tu rimani abbagliato, se tu sul cibo vedi il sale significa che non è ben amalgamato e, per questo, ti rimane del sale in bocca. Beatitudini e testimonianza chiedono una giustizia di Dio che è fuori moda. Tale giustizia vive nella e di lealtà. Il sale deve ritrovare sapore continuamente, diversamente si perde. Il sapore del sale non è la visibilità da noi tanto amata, ma l’essere nella giustizia. Non è nemmeno fare giustizia, in primis, quanto invece esserlo. Il nascondimento non è cosa brutta e cosa antica, il nascondimento è passo essenziale per vivere le beatitudini nella gratuità e senza la schiavitù dei risultati e dell’essere visti.

La lealtà è qualcosa che alberga e che cresce dentro di noi. Noi sappiamo che le azioni cattive possono non essere ripetute se ci pentiamo delle stesse, “i pensieri cattivi, invece, generano sempre azioni cattive”, ci dice Tolstoj (Risurrezione).

La lealtà è una virtù che cresce in noi e con noi. Non è un gesto è un atteggiamento del cuore che non ha bisogno di riscontri. Lo si legge negli occhi quando uno è leale. Non è ben vista la lealtà, al giorno d’oggi, ma della lealtà il mondo ne manifesta sempre più il bisogno. Senza lealtà non c’è né fiducia né amore. La lealtà è humus della terra, al massimo se ne sente il profumo o l’odore, ma non lo si vede. Agisce nel nascondimento, non è legato ad una azione particolare perché semplicemente è.

Senza lealtà non vi può essere virtù e bene. La lealtà quando agisce nel bene non si accorge neppure di quanto bene è fautrice. Il bene eccede sempre la bontà della persona che lo compie, semplicemente perché i frutti del seme che muore sotto terra, sono molto più grandi del seme stesso, grazie a Dio.

Questa è beatitudine perché giustizia di Dio e non schiavitù degli uomini. I frutti di bene sfuggono alle nostre mani, grazie a Dio, e si espandono sulla terra indipendentemente da noi. La lealtà ha dei frutti inaspettati che sono bene comune. Infatti sono le persone la vera benedizione e beatitudine di ogni realtà umana, non le azioni o le cose delle stesse.

Credere al valore della lealtà e viverlo sul campo è beatitudine. Nella concretezza della vita possiamo scorgere se siamo leali o se pensavamo solo di esserlo. A volte la lealtà di una sola persona diventa benedizione per tutti.  La persona che è leale prima di essere un dono è dono che si riceve dall’Alto.

La lealtà ha un odore che pizzica il nostro naso. Lo intuiamo anche se non lo riconosciamo. Questo pizzicore è dato dal fatto che la persona che vuole essere leale, deve pagarne il costo. Il bene, la lealtà, non sono mai senza costo, per questo noi li rifuggiamo, ne sentiamo la puzza di bruciato da lontano e ci dimentichiamo della vita che ha bisogno del bene, preoccupati come siamo di non pagare o di non dovere soffrire per quel bene. Dicendo di no ad azioni sleali noi ne paghiamo un costo. Dicendo di sì ad azioni sleali noi non ne paghiamo il costo. Il costo della slealtà è conseguente ed è dato dal fatto che non ci si può più fidare di nessuno, che non si è più liberi di amare, di donare con gratuità. E questo fa male, questo è maledizione, non beatitudine.

La lealtà, inoltre, ha una caratteristica di silenziosità. È sale che dona sapore ma non lo si vede. La lealtà infatti la si può solo vivere, non la si può raccontare. Nel momento in cui la racconti la lealtà diventa qualcosa di sleale perché chiede riconoscimento, succhia vita, non ne dona più. Il silenzio leale ha dei costi e solo il leale è disponibile a portare questi costi, non li rifiuta, non se la prende con loro, ma semplicemente li vive. Il grande costo lo si vede all’interno del conflitto, quel conflitto che non nasce quasi mai nella scelta fra bene e male, quanto invece nel dovere discernere tra una virtù e l’altra, tra bene apparente e bene reale. La lealtà rifiuta i premi e la gratitudine che sostengono e rafforzano molte virtù pubbliche. Avere una vita interiore è essenziale per potere vivere la lealtà, perché solo da lì sgorga la vera ricompensa che consiste nella bellezza del percepire la propria e altrui lealtà.

Insomma beatitudine è la lealtà perché unica permette di rimanere fedeli ai patti, alle promesse, alle proprie scelte, alla realtà di vita. Quella lealtà che non si vede e non si sente, come una foresta che cresce, e che nel mondo è fatta da milioni di persone che nel silenzio vivono dono e amore gratuito ogni giorno, nonostante le fatiche e le difficoltà.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli 
FONTE: Scuola Apostolica
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