Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Il Signore ci riporta all’essenziale del vangelo che non è un insieme di norme e leggi da seguire, ma semplicemente vita. Noi possiamo percepire questa affermazione del Signore come una condanna delle nostre abitudini, e lo è. Possiamo percepirla come un volere mettere al centro ciò che al centro non è, ed è vero che Gesù desidera che noi mettiamo al centro della nostra vita e delle nostre scelte l’amore per Dio e per il fratello. Possiamo percepirla come un volere abbattere le tradizioni che assecondano le nostre scelte, anche questo è vero. Ma questa affermazione è soprattutto un invito, un invito a comprendere dove è posto il nostro cuore. A capire se il nostro cuore pulsa oppure se è diventato di pietra. A capire se il nostro cuore ama o se invece è preoccupato di tutt’altro.
È un invito, perché un cuore non potrà mai essere obbligato. Un cuore ama oppure non ama, non lo si può obbligare, lo si può invitare, si può tentare di farlo innamorare. Oggi il Signore ci invita a cercare di comprendere dove è posto il nostro cuore. Un invito non per condannarci ma per amarci. Aiutarci a vedere dove siamo con il nostro cuore, significa metterci in una posizione per poter decidere. Invitarci a riflettere sul fatto che il nostro cuore stia amando o sia invece rattrappito, significa chiamarci ancora una volta alla vita.
Il Signore vuole donarci un cuore nuovo, vuole toglierci il cuore di pietra per darcene uno di carne. Questa proposta ci fa paura perché amare significa sempre soffrire; desiderare significa combattere; avere un cuore di carne significa uscire allo scoperto, esporci ed essere in balia dei venti contrari e non riuscire ad attraccare alla riva verso la quale eravamo salpati. Il Signore ci invita a prendere il largo sulla sua parola. Un invito che cozza contro le tradizioni che muovono gran parte della nostra giornata.
Le tradizioni possono essere le nostre abitudini a fare le cose e soprattutto a farle in un certo modo. Le tradizioni sono le nostre convenzioni nel rapportarci gli uni agli altri. Le tradizioni sono le cose, le feste, le ricorrenze che si ripetono ogni anno. Tradizione è il Natale, tradizione è la Pasqua: il centro della nostra fede diventa una tradizione vuota e ripetitiva, anziché essere una Tradizione che ci aiuta a vivere. Tradizione è il carnevale che bisogna fare e la Quaresima che bisogna iniziare. Tradizione è l’ultimo dell’anno, tradizione è il sabato sera dove bisogna sballare. Queste tradizioni il Signore per ben tre volte fa notare, nel nostro brano, che sono squalificanti del centro della nostra vita, del vangelo. Siamo più fedeli al nostro buon senso che non a tutti i miracoli del Signore.
Il Signore ha camminato sulle acque, ha moltiplicato i pani, ha guarito molti, ha scacciato i demoni, ha risuscitato la dodicenne e guarito l’emorroissa, eppure i Giudei sono preoccupati del fatto che i discepoli non osservano la tradizione degli antichi di lavarsi le mani. Cosa che in sé non è cattiva, ma che comunque distoglie dal riconoscere una presenza che cammina in mezzo a loro. Una tradizione che noi spesso mettiamo in atto è quella del giudizio e tante volte lo facciamo usando il vangelo per fare questo. Giudizio su di sé, giudizio sugli altri. Giudizio, non discernimento.
Il giudizio è qualcosa di assoluto e condannatorio! Il discernimento è misericordioso, aiuta a comprendere in profondità, ci salva dalla superficialità, ci mette in una posizione privilegiata per poter scegliere, viene da un cuore di carne e non da un cuore di pietra, cerca il passo adeguato per potere fare maturare la nostra vita.
Il giudizio ricerca solo il bene assoluto, è un discorso sui massimi sistemi, non lascia spazio all’uomo e alle sue scelte, non permette che si possa sgarrare, ricorda continuamente la maledizione della legge. Il discernimento mi porta al “bene relativo” che consiste nel cercare il possibile, nel comprendere il bene che io oggi, qui ed ora posso fare; mi aiuta ad essere una persona attenta alla vita; non mi fa dimenticare il bene ultimo, l’orientamento della mia vita, ma mi aiuta ad incarnarlo nelle contraddizioni del mio quotidiano. È nella negazione del bene del mio quotidiano che mi aiuta a cercare la via perché il bene sia messo nella mia giornata come un piccolo seme di senapa, come un po’ di lievito che fa lievitare tutta la pasta della mia giornata. Il giudizio sentenzia solamente che nella mia vita c’è tanto male e tanta negatività: mi porta a rinchiudermi a riccio per preservarmi. Il giudizio è l’arma di una politica vuota che necessita del solito noto nemico con cui prendersela. Il discernimento mi spinge a vivere tutto quel bene che posso vivere, poco o tanto che sia non importa, l’importante è che sia il mio tutto.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM