Utilizziamo la figura di Marta e di Maria per cogliere un modo di essere che ci appartiene, al di là delle vere intenzioni di Marta e di Maria che lasciamo al loro cuore e al cuore di Gesù.
Nella nostra vita viviamo continuamente un luogo di scelta tra due modi di essere, tra una religiosità e una fede. Una religiosità, che noi spesso viviamo, dove vogliamo, come Marta, compiacere Dio e piacere a Lui. È religiosità bambina che ci accompagna continuamente nella vita sia quando lavoriamo come quando preghiamo come quando ci relazioniamo in casa come per strada come con gli amici come coi potenti e i nemici. Questo tipo di religiosità è, fondamentalmente, un tipo di religiosità che sfiora in alcuni casi l’odio, in altri la vendetta, in altri ancora il non farsi fregare: è un modo di essere dove facciamo i compiacenti perché non ci fidiamo né di Dio né del prossimo. Infatti noi sappiamo bene, per esperienza, che fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio.
Maria ci richiama una persona a cui piace il Signore. E’ una perdigiorno che passa la sua vita a contemplare il volto di Dio e del fratello. È più interessata alla bellezza piuttosto che alla praticità e all’efficienza. È una che non perde occasione per contemplare ciò che di bello c’è nell’altro e nella natura, mettendo al primo posto la relazione con Dio, col creato, con il prossimo, facendo passare in secondo piano l’efficienza, la corsa, le cose da fare, la realizzazione di qualsiasi cosa che compiaccia Dio e il prossimo. Maria è quella parte di noi che fa dire a quella parte di noi che è Marta: beata lei che può, io non potrei mai, io ho troppo da fare, io sono in troppe cose, i fortunati nella vita sono sempre quelli. Maria ci richiama ad una bellezza perduta che noi ci rifiutiamo di recuperare. Neppure i preti hanno più tempo per ascoltare la gente, ma non perché non ce l’abbiano, quanto invece perché lo utilizziamo per cose inutili e superflue, per un’efficienza che lascia il tempo che trova e non dona più tempo all’umano.
Così, noi preti in primis, siamo tutti presi da ciò che noi dobbiamo fare per Dio e non riusciamo più a cogliere e a gustare ciò che Dio fa per noi. Uso il termine Dio, in questa riflessione non a caso ma perché questo Dio non ha nulla a che vedere col Padre, ma è un idolo che usiamo per le nostre cose e per averla vinta sul prossimo, per fare guerre sante alla Lepanto dove noi cristiani abbiamo vinto ma dove, allo stesso tempo, ha perso l’umanità. Facciamo diventare Dio motivo di guerra e di sfida e di svalutazione dell’altro, a qualsiasi tipo di religione egli appartenga. Il diverso non è più ricchezza, è solo morte e distruzione e motivo di svalutazione. Così non abbiamo tempo né per contemplare il volto del Buon Samaritano che si avvicina a noi, come non abbiamo più voglia, tempo e energia per contemplare il volto dell’uomo mezzo morto che incontriamo ogni giorno e per il quale non ci è più rimasta una goccia di compassione.
Maria, che c’è in noi e che siamo anche noi, ci richiama a contemplare ciò che Gesù Samaritano fa per noi. Vederlo di nuovo, sentirlo, accoglierlo così come siamo, mezzi morti e mezzi vivi. Non ricercare il consenso, malattia delle nostre democrazie, ma l’essere verità. Qualcuno sarebbe più contento se queste meditazioni che scrivo, e che sono per me e poi semplicemente condivise, le facessi più brevi, più adatte ad essere lette con un mordi e fuggi che è lo stile della nostra società, roba adatta a facebook o a qualsiasi altro genere di strumento o qualsiasi cuore che non ha più né tempo né spazio per qualcosa di più. Non ho più tempo per questo come non ho più tempo di calibrare quello che scrivo solo perché poi qualcuno ti dice che lo hai scritto tu, come strumento per dire che non sei vero. Non sono Maria ma non sono neppure in vendita sul mercato dei social per avere qualcosa che morde e fugge e lascia spazio poi a quanto viene dopo.
Marta ci richiama alla religione della legge che ci dice cosa devi fare per avere la vita eterna. Maria, ci dice Gesù: contempla l’infinito del cuore del Dio maledetto del Samaritano che guarda ma non passa oltre, vede ma non volge lo sguardo dall’altra parte. Se ogni uomo è tuo fratello ogni uomo è parte del tuo sguardo di cuore. È il vangelo dell’amore semplicemente da accogliere e dal quale lasciarci toccare. Non è più il vangelo del fare per essere, come troppo spesso siamo, simili allo scriba, al sacerdote e al levita.
È bello evidenziare ciò che è vero per noi grazie a tutti. Natalia Ginzburg, ebrea atea, scriveva sull’Unità nel 1988: Non togliete il crocefisso, perchè il crocefisso non genera alcuna discriminazione: tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana: ama il prossimo tuo come te stesso. Comando antico ma che è divenuto la base della rivoluzione cristiana che ha cambiato il mondo. Non per potere ma semplicemente per amore, quindi senza alcuna recriminazione e discriminazione.
Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.
Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore
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Marta lo ospitò. Maria ha scelto la parte migliore.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 10, 38-42
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Parola del Signore.