Mentre Dio mangia e accoglie i peccatori, noi continuiamo a fare analisi di chi è degno oppure no di partecipare al banchetto della vita. Gesù va in casa di Zaccheo perché deve oggi fermarsi a casa sua e noi continuiamo a usare il nostro tempo per analizzare i versetti del vangelo senza mai lasciarci coinvolgere dall’annuncio della Buona Notizia. I pubblicani e i peccatori si avvicinano per ascoltare Gesù mentre noi stiamo alla finestra a puntare il dito contro coloro che si avvicinano a Gesù e sono indegni. Anzi, già che ci siamo, puntiamo il dito contro Gesù che non condanna.
Tutto questo non lo facciamo in teoria ma in pratica. Se viene a casa nostra un peccatore pubblico, cosiddetto, cioè uno che a differenza nostra non ha saputo nascondere il suo peccato, noi manco lo salutiamo, noi cominciamo a dire “ma cosa ci viene a fare quello lì da noi”. Noi non vogliamo un vescovo che venga da Milano perché siamo di Bergamo: cosa c’entrano quelli lì con noi? Noi non vogliamo, e a ragione, un nunzio apostolico Indiano che venga in Mozambico: a ragione, dicevo, perché gli indiani per i mozambicani sono stati come la peste. Noi non vogliamo un vescovo che non sia trentino: solo uno trentino ci conosce. Noi non vogliamo che certi gruppi di ricerca vengano nelle nostre case, non sono cristiani cosa c’entrano con noi? Noi siamo perplessi se suonare la campana, come si fa per ogni nuovo nato del paese, se il nuovo nato è figlio di mussulmani, come se tale figlio non fosse un figlio di Dio.
Tutto questo, dal più al meno, mette in evidenza quello a cui noi diamo importanza, non evidenzia la bellezza della Buona Notizia annunciata da Gesù seduto in casa di Zaccheo di fronte a pubblicani e a peccatori, a quell’umanità che ancora lo sa ascoltare anche se da noi, che non ascoltiamo più, sono giudicati indegni. Siamo convinti che dove ci si riempie la bocca di parola di Dio si faccia del bene. Non fa niente se in nome di questa parola noi giudichiamo e non crediamo neanche al pancotto. Noi usiamo la parola per escludere anziché per amare. Continuiamo a ritenerci sani e figli di Dio anche se non andiamo a cercare e ad incontrare, magari al bar davanti ad una birra, la pecora che se ne è andata o il tesoro della moneta smarrita, che sono miei fratelli. Questa mancanza di fede, anche se abbiamo la bocca piena di parola di Dio, è la vera distruzione della comunità cristiana e del Regno.
Dio ci dice: gioite con me, perché ho incontrato di nuovo la pecora lontana. Gioite con me perché finalmente sono riuscito a sedermi a tavola con quel manigoldo e ad andare in casa di quella persona che mi vede come fumo negli occhi. Gioite, perché la salvezza, che entra nelle case, è la vera natura del nostro essere chiesa. Così la misericordia ritorna a camminare sulle strade della vita dimentica della maledizione dei nostri meriti. L’amore per me perduto mi dice il valore infinito dell’essere figlio del Padre!
Che ci crediamo o no il male lo si vince col bene, non con l’additare il peccatore, che poi sono io che alzo il dito contro. Il male è provocazione alla mia libertà, con questo male Dio agisce. Chi sono io per ribaltare il piano della salvezza e della sapienza del Padre? Lui paga in croce i nostri cattivi criteri spalancando le porte di quella misericordia che unica è salvezza e rinascita. La porta stretta della salvezza diventa porta accessibile grazie alla sua misericordia di amore gratuito che non chiude davanti a nessuno. Lui è per tutti non per i giusti. Noi neghiamo questa possibilità continuamente con i nostri discorsi di razza – per razza intendo anche di religione – utili solo a rendere aberrante la nostra esistenza.
La nostra festa e la nostra gioia non consiste nell’essere gente che si ritiene brava e buona magari solo perché maneggia la bibbia, o è di una certa credenza, o è appartenente ad un certo popolo, razza o provincia italiana, la nostra gioia cristiana consiste solo nell’essere credenti nel Figlio che si è fatto ultimo di tutti, s’è fatto maledizione e peccato in croce, s’è fatto spazzatura del mondo in modo che tutti siano salvi. E noi siamo lì ancora discutere se la chiesa deve essere una basilica o se il parroco ha diritto a comandare nelle nostre chiese che noi ci lamentiamo essere sempre più vuote, senza vedere che il problema è che sono da tempo templi senza fede nel Figlio morto gratuitamente per noi.
Fare festa oggi significa vedere la creazione nuova che il Padre opera ogni giorno in noi grazie al pastore che lascia le 99 per andare alla ricerca dell’unica perduta. Fare festa oggi significa ritornare a vedere le mani della Madre che puliscono l’interno della nostra casa, del nostro animo, delle nostre comunità, per ritrovare la moneta persa, il tesoro nascosto e riportarci in tal modo alla vita vera.
È proprio vero che Lui/Lei fa bene ogni cosa, quello che crea è cosa buona e bella, oggi, in noi, fra di noi, per noi!
Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.
Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore
LEGGI IL BRANO DEL VANGELO DI OGGIlc
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 15, 1-10
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Parola del Signore