Chi è Gesù per Erode? Sembra essere centrale in questo brano di vangelo questa domanda. In realtà questa domanda, per Erode, scopre un mondo che manifesta chi Erode è: un tiranno burattino nelle mani di Erodiade.
Erode, alla domanda su chi è Gesù, vede in Lui il Battista redivivo, una visione che gli rode dentro e lo porta a pensare a ciò che non voleva più pensare. Sappiamo bene che “le radici dell’occhio stanno nel cuore”, come ci ricorda Guardini. Per questo, volenti o nolenti, coscienti oppure no, noi interpretiamo tutto quello che vediamo alla luce di ciò che abita la nostra interiorità. Questo fatto può essere una cosa bella oppure può essere una cosa che ci crea non pochi problemi, dipende da cosa c’è in noi. Proviamo a riflettere: Erode riteneva Giovanni uomo giusto e santo, eppure prima lo aveva imprigionato e poi ucciso. Il fantasma di quell’uomo giusto santo continuava a perseguitarlo e ora, grazie al suo senso di colpa, gli sembrava che riprendesse carne e ossa!
Erode aveva ucciso Giovanni Battista suo malgrado: così quasi per gioco, durante un banchetto fatto in suo onore, a motivo di un giuramento in cui Erode l’aveva sparata grossa. Per questo del Battista Gesù dirà che gli hanno fatto come hanno voluto, come capiterà la stessa cosa a Gesù e a tanti innocenti e buoni della terra. Battista vittima di Erode il quale, a sua volta, è vittima di ciò che altri vogliono: Erode un tiranno da strapazzo. Erode che ascoltava volentieri il Battista, vittima della tirannia, diventa a sua volta vittima del gioco perverso in cui si è cacciato acconsentendo ai capricci del suo io malato.
Il re si atteggia a padrone, ma di questi padroni che dominano il mondo, democraticamente o meno poco importa, non se ne vede traccia di uno che cerchi il bene comune, il bene del mondo: sembrano essere tutti schiavi di qualcun altro, non foss’anche che delle preferenze che le agenzie specializzate sfornano ad ogni piè sospinto. Agenzie che nessuno controlla ma che debbono pur far qualcosa se vogliono portare a casa lo stipendio. Erode si atteggia a padrone ma padrone non è: è in mano ad Erodiade che aveva voluto accanto a sé e che gli imponeva la sua volontà, manipolando la situazione, fino a doversi mostrare padrona di fronte ai commensali della festa, fino a comandare la morte del Battista.
Erode è simbolo della rovina del potere. Manifesta il suo essere vittima del suo conflitto interiore dal quale non esce perché deve salvare la propria immagine. Questo mentre Erodiade, in disparte, tiene in mano le redini degli eventi ottenendo ciò che da tempo vuole: la testa del Battista così che taccia per sempre. Il Battista deve essere messo a tacere perché la regina, dice il Battista, è determinata da una perversità che la domina ma che non vuole ammettere, neanche di fronte alle parole del profeta.
Così vediamo come il potere rovina, non ti lascia andare nudo per le strade della vita ad essere evangelo. Erodiade, senza tanti scrupoli, vuole portare a compimento il suo piano anche abusando delle persone che dipendono da lei. Usa la figlia, totalmente dipendente da lei, pur di arrivare dove lei vuole. Madre perversa che usa la figlia per i propri scopi: altro che amore materno! Questa figlia è talmente schiava della madre che fa passare per suo il volere della madre. In realtà questa figlia può mettere di suo solo che la testa del Battista sia messa su di un vassoio. La tragicommedia è compiuta: l’irresponsabilità di cui dà prova la rende complice di un dramma di cui non ne ha coscienza fino in fondo, eppure ne diventa complice.
Credo che possiamo riconoscere il nostro essere esseri divisi! Nel nostro quotidiano siamo prede di sentimenti contrastanti. Tentati dall’orgoglio e incapaci di pentimento, cadiamo in una compiacenza di bassa lega dove di verità nostra e dell’altro, di bene e di bello, ce ne è ben poco. L’incapacità di cura vera ci porta a farci del male e a divenire complici del male. Usiamo gli altri per farla pagare non per crescere nel bello e nel bene. Il vangelo, che ci manda nudi ad annunciarlo, è invito costante per illuminare la nostra coscienza invitandoci a sottrarci a certi giochi riconoscendoli maligni, a resistere alle malie del potere, a scegliere il bello della vita in libertà di cuore.
Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.
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Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto.