Del vangelo odierno vorrei mettere in evidenza l’importanza della reciprocità.
Gesù entra in casa di Simone dove Gesù guarisce la suocera dello stesso. Ma la guarisce dopo che altri avevano pregato lui per lei che aveva una grande febbre. Non basta! Gesù la guarisce e lei, levatasi all’istante, cominciò a servirli.
In seguito, al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere, li condussero da lui. Ed egli, imponendo loro le mani, li guariva.
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Sul far del giorno Gesù uscì e si recò in un luogo deserto. Le folle lo cercano e lo raggiungono e lo pregano di rimanere con loro.
Vi dicevo che l’atteggiamento che volevo evidenziare era quello della reciprocità. Gesù guarisce la suocera di Simone dopo che qualcuno aveva interceduto per lei, e a lei guarita, viene chiesto un servizio. Gli vengono portati tutti gli infermi e lui li guarisce. Non va Gesù a cercarli. Lui se ne va e la folla lo cerca.
L’atteggiamento della gratuità, è bene dirlo, non fa a pungi con la reciprocità. Anzi! È importantissimo non trattare il prossimo da imbranato non chiedendogli mai nulla. Significa metterlo in una posizione di inferiorità inutile. Inutile per lui perché rischia di sentirsi sempre più incapace. Inutile per noi perché gli dobbiamo fare da balia.
Chiedere qualcosa all’altro, è un atteggiamento importantissimo soprattutto quando noi stiamo per dargli qualcosa.
Quando siamo andati a costruire una scuola in Mozambico. Una delle discussioni e riflessioni che sono emerse nel gruppo era la seguente: noi abbiamo chiesto alla gente del posto di partecipare con un’azione di volontariato gratuito; gente che non aveva neanche da mangiare. Si diceva: ma come possiamo chiedere qualcosa a loro che non hanno nulla? La decisione vincente fu: anche loro possono partecipare alla costruzione della scuola che è loro. Se non facciamo questo loro non la sentiranno mai loro proprietà. Fu una mossa vincente non solo perché in tanti hanno partecipato, ma anche e soprattutto perché alla fine dicevano: la nostra scuola!
Io leggendo un libro di Michel e Colette Collard intitolato “Clochard” (barboni/homeless), a un certo punto del libro si dice una cosa interessante. Uno dei problemi di questi clochard è che a forza di sentirsi degli esclusi, loro interiorizzano il loro sentimento di inutilità. Questo scatena una rabbia che si manifesta con un atteggiamento di pretesa nei confronti di altri esclusi e nei confronti degli operatori dei centri di accoglienza. In uno di questi centri l’operatore afferma che quando loro assumono questo atteggiamento l’affermazione con cui loro rispondono alla loro pretesa è: “Porta qualcosa anche tu! Cosa porti?”. Solo allora si accorgono che possono portare amicizia e un modo diverso di stare con gli altri.
Quando si dà qualcosa a qualcuno si mantiene l’altro nella sua condizione di povero. Quando si dà qualcosa, colui che riceve si percepisce come un assistito.
Chiedere qualcosa significa fare passare l’escluso dall’essere e sentirsi un peso o una preoccupazione, alla riscoperta del suo essere una fortuna, una grazia. La povertà non è necessariamente una maledizione, ma può diventare un luogo di comunione in cui colui che domanda è anche colui che dà, e colui che dà è anche colui che riceve senza aver cercato nulla.
Questo atteggiamento è valido nelle nostre comunità, nelle nostre famiglie, nei confronti dei figli e dei mariti e delle mogli.
Diamo e domandiamo perché l’altro non sia più un sacco da riempire, ma una persona con cui instaurare un rapporto di scambio amorevole di comunione.
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