Siamo tutti un po’ cammelli, per bene che vada siamo dromedari con una sola gobba. A volte abbiamo le gobbe un po’ sgonfie ma spesso le abbiamo ben gonfie di noi stessi, non di acqua di scorta per la vita. Le gobbe per il cammello sono vita perché è scorta di acqua, ma per noi uomini queste gobbe ci parlano di ben altro.
Abbiamo tutti bisogno di sgonfiare le nostre gobbe per ricercare e ritrovare una modalità di essere e di vivere che ci parli di umano. Sgonfiare le gobbe è un atto di amore che dice libertà. Le nostre gobbe sono piene dei nostri idoli a cui ognuno di noi è chiamato a dare il suo nome proprio. Le nostre gobbe sono trave nell’occhio che ci acceca sulla verità di quello che siamo e ci spinge sempre di più a perderci dietro la pagliuzza dell’occhio del fratello. Le gobbe sono la nostra cecità da cui siamo chiamati a liberarci per potere ritornare a vedere e a perdere la pretesa di essere guide, magari cieche, che conducono altri ciechi: dove andremo a finire?
“Ecco noi abbiamo lasciato tutto”, dice Pietro a Gesù, quasi con la pretesa di avere indietro qualcosa. Quando noi lasciamo qualcosa la tentazione che continuamente bussa alla nostra porta è quella di potere riprendere indietro qualche pezzettino che, un po’ alla volta, ci permette di riacquistare il tutto e magari qualcosa di più. Il lasciare è cosa buona ma è cosa che chiede di essere reiterata in ogni momento. Ciò che abbiamo sempre fatto e sempre avuto, continua a bussare alla porta del nostro cuore perché noi lo possiamo riprendere indietro. Lasciare per finta è la prima fonte di schiavitù, magari dopo avere fatto una scelta di libertà.
Se lasciamo per sacrificio, se lasciamo per avere la vita eterna, noi siamo da compiangere più di tutti. Fare sacrificio significa fare cosa sacra, dunque scelta di libertà, non è un fioretto o un sacrificio nel senso che a questo termine noi diamo comunemente. Fare cosa sacra è rendere sacra la nostra vita e ciò che fa sacra la nostra vita è quella umanizzazione della stessa, come risposta alla disumanizzazione con cui ci imbattiamo ogni giorno, che si gioca nella libertà di essere che si concretizza poi nella libertà dalle cose.
Non mi interessa essere libero di andare da una parte o dall’altra o di essere libero di fare una cosa anziché un’altra: troppa illusione è nascosta sotto la pelle di queste realtà. Questa non è libertà che sgonfia le nostre gobbe cammellesche. Mi interessa di fare quello che la vita mi riserva, vivendolo con amore, con un cuore libero, senza pretese di avere nulla in contraccambio. Vivere questa libertà che si concretizza nel lasciare senza ricercare nulla, è permettersi di scoprire la bellezza insita in ogni situazione di vita. La ricerca di questa bellezza e la scoperta della stessa, non è finalizzata a vivere una sorta di illusione ottimistica, è invece un atto di fede che si concretizza nell’amare quello che ti viene dato da vivere con la coscienza che lì Dio Padre vive e lì Lui ha messo il suo marchio. Nel cuore di ognuno c’è stampato da sempre il volto del Padre. È nascosto da mille gobbe? A noi scoprirlo al di là delle mille gobbe.
La scelta di lasciare, la scelta di avere e di essere di meno, la scelta di abbandonare le tante cose che affollano la nostra esistenza, non ha niente di dovere, è semplicemente una scelta bella che ha in sé un seme buono che chiede solo di essere accolto nella semina per potere fare il suo lavoro: diventare ciò che è germogliando.
Le gobbe fanno ombra, le gobbe oscurano, le gobbe ci danno false sicurezze, le gobbe ci fanno dimenticare il desiderio dell’oasi, le gobbe sono fonte di quella autonomia illusoria che non porta da nessuna parte. Forse è tempo di smetterla di fare i cammelli, utili nel deserto, ma senz’altro meno utili e meno belli del cavallo. Ma nel deserto? Nel deserto il cammello è utile per portare roba. Se vogliamo vivere il deserto in libertà è tempo di contemplare il cavallo. Quel cavallo arabo, antico quanto stupendo, che non ti abbandona mai neanche nel deserto e che serve per camminare, per andare, per galoppare. Cavallo bello e vivace, vigoroso e intelligente. Ti porta a destinazione per altre vie.
Ma al di là di questa bellezza: lui continua a cercare l’oasi, non ha scorta di robe, ma galoppa fino alla fine verso la meta prefissata. È simbolo di bellezza e di libertà. Lasciamo le nostre gobbe di false sicurezze e, senza nostalgie di sorta, mettiamoci per via, sulle vie del deserto, magari in groppa ad un bel cavallo arabo che ci parla di una bella resistenza fisica che dice passione e perseveranza, costanza e speranza paziente.
Cominciamo il nostro deserto quaresimale lasciando il carnevale bello dietro a noi: c’è ben altro che ci aspetta. Buon cammino di deserto.
Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.
Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore
Vangelo del giorno:
Mc 10, 28-31
In quel tempo, Pietro prese a dire a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.