Il contesto in cui si inserisce questo brano è pesante, c’è un clima di tensione, di incomprensione, sembra che la missione di Gesù sia fallita. Per i dottori della legge, gli scribi e i farisei, l’umanità di Gesù è scandalo, inciampo. Anche i discepoli mostrano di non capire affatto il suo annuncio. Gesù non si lamenta, non si abbandona allo scoraggiamento, accetta la durezza del momento e trasforma la tensione, “in quel tempo” in quell’ora di crisi vissuta in cambiamento profondo.
Depone il contrasto creato dai dotti e dai sapienti che riconoscono Dio nella legge perché incontra lo sguardo dei piccoli, dei poveri, di coloro che semplicemente vivono, senza pretese, ringraziando e accogliendo il dono della Parola. Negli occhi di quell’umanità vede, riconosce e ascolta un Dio che è Padre che proprio della vita di queste persone gli sta parlando. Da questa rivelazione sboccia il canto di lode al Padre per il dono e la scelta di stare dalla parte dei piccoli. Era lì che lo stava cercando, era lì che voleva trovarlo, nascosto nella piccolezza.
Il Padre benedetto dal Figlio Gesù che rende possibile l’accoglienza della Parola, ci fa entrare nella Trinità creando la danza che è ritmata dallo Spirito di Amore. Così sgorga la stessa gioia di vita dal Padre e dal Figlio che viene donata ad ogni uomo grazie al dono danzante dello Spirito.
Così scaturisce una conoscenza che sa di bello e di vero. È la conoscenza fra il Padre e il Figlio che diventa dono ad ognuno chiamato ad entrare nella danza Trinitaria di amore dello Spirito Santo. Così nasce la conoscenza, una conoscenza vera di incontro e non di necessità, di critica e di squalifica. Per questo lo Spirito di amore zampilla e fa zampillare in noi e nel nostro cuore quella vita che porta a fiorire sulle labbra del cuore ciò che il verbo dice: Abbà, Padre! Si danza per questo, la danza della figliolanza e del Padre. Al suono di flauto danzante di Cristo amante, scaturisce amore fra Padre e figli. Così noi entriamo danzando nella vita divina di Trinità che si incarna nella nostra umanità.
Accogliamo Lui perché questa è salvezza, non perché non vi siano più problemi o difficoltà: nella sua carne ogni carne diventa gloria di vita.
I sapienti e i furbi cercano un dio sapiente e potente. I piccoli invece incontrano la sapienza e la potenza del Padre lì dove è: nella debolezza di Gesù che per noi è insipiente perchè non fa i propri affari, perchè questo è accogliere la chiamata ad essere figli di Dio.
Scopo del Figlio è aprire ad ogni uomo il tesoro che è la sua vita di Figlio del Padre. Questa è la nostra salvezza, questa la grande dignità dell’uomo: diventare figli, ciò che siamo. Così Gesù diviene porta di comunicazione fra creatura e creatore: questa è la bellezza dei piccoli che sono la chiesa.
Per questo siamo chiamati da Gesù perché possiamo cibarci del vero cibo che è conoscere il Padre. Per questo il dono dello Spirito è rivoluzionario perché dono di vita da figli e da fratelli. Non la Legge, nemmeno quella di Mosè, quanto invece l’amore che è vero compimento di ogni legge: questa è la vita per la vera giustizia che non è legata alla legge ma che dona vita alla vita con amore come termine di ogni bellezza giusta.
Per questo noi tutti siamo chiamati, dal Padre grazie allo Spirito, al nostro “dovere” che è vivere il “piacere” di essere figli e fratelli, profondamente umani, sensibili ai bisogni, alle necessità e alle sofferenze degli altri per sperimentare la sua presenza nella nostra vita.
L’amore, la grazia, non abolisce il nostro agire ma lo rende reale e umano. Il vangelo è dunque grazia di amore interessato solo al fatto che noi siamo resi capaci di camminare. Qui nasce la libertà data dal Vangelo che è vera vita, non semplice e banale legge. Così l’amore amato è salvezza, l’amore non amato perdizione, perdita, dramma di Dio più che nostro.
Così l’amore che è libertà, non perché contro la legge, è germoglio di tutto, di ogni vita. Chi ama è suddito non più della legge ma dell’amore, unico sovrano e legge a se stesso.
Gesù incarnato diviene il sì della vita, dell’uomo a Dio Padre, che è Dio Padre nell’uomo: non ne può fare a meno. Grazie a questa figliolanza di amore si passa, finalmente, dalla lettera che uccide, allo Spirito che dona vita; si passa dalla legge alla libertà; si passa dalla fatica al riposo.
Così il giogo dell’amore, il giogo della relazione, nel quale viviamo è dolce e leggero, per questo chiede solamente di essere accolto con gioia non per paura propria di tutti. Questo giogo è l’unico che non opprime perché vissuto e donato nello Spirito.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli
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