Ed è ancora tempo favorevole per passare all’altra riva. Tempo favorevole di passare dalla riva del peccato alla riva dell’essere figli; di passare dalla riva della paralisi alla riva del camminare.
Gli scribi si scandalizzano perché Gesù perdona i peccati. Dio è il vendicatore non colui che perdona. Che senso ha essere giusti, si domandano, se poi Gesù perdona. Beh, è meglio combinarne di tutti i colori nella vita, come se questo desse senso ad una vita, tanto poi Lui ti perdona.
Meglio godersela il più possibile e quando nessuno non ti vuol più, rivolgerti al buon Gesù. Tutte affermazioni e pensieri che non parlano di amore, di relazione amorevole, ma di sfruttare ogni occasione per approfittare di Dio, il vero grande minchione che tanto ti perdona. Ma questa non è di certo premessa di relazione, tantomeno di relazione di amore.
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Passare all’altra riva oggi, significa ricominciare a comprendere il peccato come mancanza di relazione, quel peccato che da noi e dalla nostra cultura è negato. Non ci crediamo che il male esista, anche se ci sbattiamo continuamente il naso contro. Riconoscere il proprio peccato significa riconoscere tutta quella massa negativa che ci portiamo dentro. Riconoscere il proprio peccato, prima ancora che confessarsi, è il vero passare da una riva all’altra.
Sappiamo che l’uomo è relazione, relazione con l’altro e con Dio. Il peccato è ciò che rompe questa relazione che può essere stabilita nel passaggio tracciato dal perdono. Perdono che è dono non meritocratico, vale a dire da meretricio, ma di amore gratuito. Sì perché l’amore o è gratuito o non è! Passare all’altra riva significa uscire dalla illusione che il peccato non esista.
Passiamo parte della nostra vita ad illuderci che noi non sbagliamo e che l’errore è tutto degli altri. Le confessioni degli uomini sono normalmente basate sul fatto che loro non hanno fatto nulla di male, mentre quelle delle donne sono basate sul confessare il peccato dell’altro, normalmente il marito o i figli o i compagni di turno. Ma questo ci paralizza ogni giorno sempre più.
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E siamo chiamati a passare dall’essere paralitici, inchiodati al nostro letto dalla Legge, all’essere umani, cioè viator, camminatori! Noi non siamo di casa dove stiamo: siamo estranei dove abitiamo. Intestardirci nel volerci sentire a casa significa non metterci in cammino, significa vivere in paralisi. Il peccato blocca il cammino, ci appesantisce col suo fardello di negatività, ci rende sempre più incapaci di relazioni vere. Il peccato ci rende immobili: è il moto che è vita, l’immobilità è rigidezza cadaverica.
Noi a letto ci andiamo per riposare oppure perché malati. La paralisi ci fissa al letto della malattia che frequentemente è vista come ancora di salvezza. Essere paralizzati e malati sembra a volte ci faciliti la vita, ci evita di affrontare certe problematiche e certe relazioni indesiderate. Passare dalla paralisi al camminare significa accettare di vederci paralizzati, schiavi delle nostre scelte e del nostro quotidiano. Significa diventare desiderosi e accoglienti della gratuità del per-dono: dono per vivere, per ritornare a camminare, ad appassionarci alla vita abbandonando le nostre belle case con quelle bellissime stanze da bagno da sibariti.
La Legge ci inchioda alle nostre paralisi sia di peccato come di negazione dello stesso. Il per-dono ti riporta al centro della via, al centro dell’amore che è pieno compimento della Legge perché ti rimette in cammino invitandoti a lasciare le tue sicurezze, anche quelle che meglio si esprimono nella paralisi, nel vivere inchiodati al letto delle nostre miserie e negatività.
Ti sono rimessi i tuoi peccati: rimettere significa allontanare. Dio manda via da te i tuoi fallimenti di cui continuiamo a fare ricordo, che continuamente, cioè, riportiamo al centro del nostro cuore. Lui allontana quel male che ti aderisce e ti mangia come un tumore.
Tutto il negativo che hai fatto e che ti porti dentro come massa oscura, sei invitato a lasciarlo sulla vecchia riva e riprendere a camminare, o a nuotare, passando all’altra riva. Sull’altra riva trovi un Padre che ti attende a braccia aperte e che ti ha mandato la sua scialuppa personale, Cristo, perché col suo perdono tu possa avere la forza di vogare verso l’altra riva.
Trovi un Padre che perdona: riscopri il tuo essere figlio, voglioso di camminare e di abbandonare la sicurezza paralizzante del tuo letto di casa, letto fatto di doghe e casa fatta di grandi stanze da bagno. Perdonato riscoprirai la relazione da figlio, da cui scaturisce la relazione da fratello capace e desideroso di perdono, di relazione.
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