“Figlio di Davide, abbi pietà di noi!”, che siamo incapaci di vedere la volontà del Padre e ancor più incapaci di saperla incarnare.
Siamo ciechi perché non vediamo, siamo ciechi perché non sappiamo riconoscere la bellezza della volontà del Padre. Siamo ciechi perché non riusciamo a cogliere l’importanza, per la nostra vita, della volontà del Padre. La volontà del Padre ci umanizza, la volontà del Padre diventa possibilità quotidiana di incarnazione.
Riconoscere la nostra cecità, confessare la nostra cecità per chiedere pietà e misericordia, è una delle azioni importanti per la nostra esistenza. Da qui passa la risurrezione oggi del nostro mondo.
Di fronte alla domanda dei due ciechi che facciamo nostra, il Signore Gesù chiede la nostra decisione di fede: ci credi che io posso renderti la vista? Ci credete che possa mostrarvi il Padre? Ci credete che posso farvi cogliere la volontà del Padre, la sua bellezza, e possa darvi forza, coraggio e perseveranza per vivere ogni giorno la sua volontà? “Credete che io possa fare questo?”.
Mia figlia è appena morta, dice uno dei capi a Gesù, “ma vieni, imponi la tua mano su di lei, e vivrà”. L’esperienza della risurrezione è esperienza di Luce, dove la vita scorre da Dio a noi.
Il nostro credere diventa una domanda che Gesù rivolge a noi: credi che non c’è nulla di più importante che fermarti a dare una mano ad una persona bisognosa? Più importante che non l’arrivare puntuale a messa? Più importante che non essere fedele ad un appuntamento decisivo? Abbiamo solo un appuntamento decisivo: l’incontro con il fratello bisognoso.
Chiedere al Signore che ci guarisca dalle nostre cecità, significa chiedere vita e coraggio per scegliere ciò che veramente è centrale nella nostra esistenza.
Essenziale è smettere di sfruttare il povero cominciando a servirlo. Il povero è il bisognoso, colui che non ha diritti agli occhi nostri, e che non ha la forza per fare valere i suoi diritti. Il povero è colui che da sempre è stato sfruttato per rendere i ricchi ancora più ricchi sulle spalle dei più poveri, formiche che lavorano senza sosta e senza soddisfazione.
Nelle nostre politiche il povero è una opportunità per ottenere finanziamenti dal governo, dalla Comunità Europea, dalle Regioni. La grande democrazia del mondo che è governata da miliardari proclama la sua supremazia e il suo: prima di tutto il guadagno e ciò che conviene.
Un bel programma di ingrassamento di coloro che sono già grassi, alle spalle di chi già tira la cinghia.
Fino a che il povero sarà usato per i nostri tornaconti comunali o di congregazione o di gruppo, non vi sarà pace su questa terra. Lo crediamo noi questo? Crediamo che il Signore ci possa guarire dalle cecità? Quelle cecità che sono le nostre illusioni di pensare di potere governare il mondo come la nostra vita, la nostra comunità come la nostra nazione, con azioni di forza? Ha ragione chi ha più voti e potere, o la giustizia ha ragioni che non dipendono dal numero ma dalla sua essenza di umanizzazione? Roba teorica? Sì, se rimane sulla carta. Ma è roba vera che si può percepire nell’aria come si può percepire l’amore, anche se non lo si vede fino a che non si incarna.
Cosa rispondiamo alla domanda del Signore? Rispondere “Sì, o Signore!”, significa sbilanciarci e giocarci in una modalità di vita che non è secondo il nostro buon senso ma secondo Dio. Rispondere “Sì”, significa ammettere la nostra cecità, chiedere da Lui luce, a Lui che è la Luce che viene nel mondo.
Ammettere la nostra cecità è premessa per potere seguire Gesù: ciechi ma discepoli. Negare le nostre cecità significa negare ogni possibilità di sequela.
Discepoli che ascoltano, da ciechi, Gesù che ci dice: “Avvenga per voi secondo la vostra fede”. Questo è quanto il Signore può dire di fronte al nostro desiderio e alla nostra disponibilità. Manifestare questo desiderio significa uscire dagli insabbiamenti del nostro cuore, dalle sabbie che ci paralizzano la vita, da quelle sabbie che diventano fragilità per la costruzione della nostra casa, da quell’atteggiamento che ci porta ad insabbiare la volontà del Padre pensando in tal modo di risolvere i nostri problemi. Uscire dagli insabbiamenti per mettere i piedi sulla roccia della volontà del Padre vista e creduta e vissuta.
Ci dice san Giovanni nel suo vangelo: “Chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (8, 12).
È l’esperienza della illuminazione che inizia col desiderio di seguirlo, tenue luce che brilla nella notte, ma stiamone pur certi, brilla. Chi poi lo segue, magari da cieco che riconosce la trave che c’è nel proprio occhio quando giudica il fratello, giunge alla luce piena. Sappiamo che la prima illuminazione è accorgerci di essere ciechi. L’ammettere in verità questo dato è premessa per ogni sequela e per ogni atto di fede che ci guarisce.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM