Il regno di Dio è già in mezzo a noi, non siamo noi che dobbiamo fondarlo, non siamo noi che dobbiamo portarlo.
Il regno di Dio è un granellino di senape, Gesù Cristo, che è stato gettato, rifiutato, nell’orto, nel giardino degli ulivi; e che poi è cresciuto ed è diventato un arbusto, il regno, e gli uccelli del cielo, cioè gli uomini di buona volontà, si sono posati tra i suoi rami.
Il regno di Dio è simile al lievito, Gesù Cristo, che una donna ha preso e nascosto, rifiutato, in tre staia, giorni, di farina, sepolcro, finché sia tutta fermentata, risurrezione. Il regno non è qualcosa che facciamo noi, ma è ricordo, contemplazione, riconoscimento dell’opera che il Padre ha fatto nel Figlio e continua a fare tramite lo Spirito Santo.
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Il regno è innanzitutto un dono. Ed è il dono nell’anno di grazia, nell’anno della pazienza. In questo anno di grazia Dio non sta a guardare come va a finire, ma agisce con la sua bontà. Zappa attorno alla pianta del mondo e vi getta concime. Il primo dono di questo anno di grazia è Gesù morto e risorto per noi, rifiutato dagli uomini, che ha fatto del rifiuto, gettato via nell’orto, lo strumento per crescere e diventare un arbusto. Il primo dono è Cristo che viene nascosto e sepolto in tre staia, per tre giorni, di farina nel sepolcro: questo diventa lo strumento per fare fermentare quella farina che diversamente mai sarebbe fermentata.
L’azione del Signore non si ferma in questo anno di grazia ma si rende presente attraverso un altro primo dono: quello della donna curva che non poteva drizzarsi. Questa donna ha il privilegio di inaugurare il nuovo regno prendendo Gesù e nascondendolo nella sua gobba fino a che nella risurrezione lui la raddrizzi e glorifichi Dio.
Il regno è già in azione. Ma c’è bisogno di discernimento per poterlo vedere. Se noi lo cerchiamo con gli occhi e il lievito dei farisei, perdiamo il nostro tempo: non lo vedremo mai. Perché il regno ha un’apparenza trascurabile ed insignificante, quasi invisibile: ci vuole discernimento per riconoscerlo. Chi saprebbe vedere in una donna curva la presenza del regno? Chi non guarda con un po’ di compassione, quando il mondo non mi vuol più mi rivolgo al buon Gesù, la vecchietta che si reca ogni giorno in chiesa a dire il rosario? Sorridiamo o ci scandalizziamo come il capo della sinagoga: la fede è roba da bambini e da vecchiette, o da donnicciole: e questi ci salvano!
Il regno, Gesù Cristo, si manifesta sotto il segno della povertà, nell’irrilevanza religiosa e politica: questo è il tipo di messianismo del Cristo.
Agli occhi nostri il regno del Padre è una realtà piccola e fallimentare: un seme che marcisce! Così rivela la sua forza vitale, spontanea e specifica, di diventare pianta. Il regno del Padre è donato ai peccatori (Zaccheo – lebbrosi – ladrone…). Per noi perfetti farisei è una realtà immonda e disprezzabile: un po’ di farina andata a male. Ma così rivela la sua forza il lievito, capace di trasformare in pane di vita tutta la pasta del mondo. Gesù fu gettato via: e divenne albero. Gesù fu preso e nascosto in fretta come immondo: divenne fermento di novità.
Se non sappiamo riconoscere il lievito del Regno non sapremo neppure vedere la vitalità vera della presenza del Regno che ha caratteristiche opposte a quello dei farisei: invece della paura della morte, l’amore del Padre; invece dell’accumulo, il dono; invece del ladro che ruba la vita, lo sposo che bussa.
Il tempo presente è il momento di grazia in cui siamo chiamati a convertirci. Con Gesù è giunto il sabato e siamo liberati dal male. Chi si volge a lui, e accetta la sua parola di salvezza, da curvo che era può finalmente alzarsi. L’annuncio ci fa riconoscere Gesù, e quindi il Regno, nel suo mistero di piccolezza-grandezza, umiltà-esaltazione, morte-risurrezione.
Queste parabole sono criteri di discernimento per vedere il disegno dall’alto, come lo vede Dio: ciò che capitò a Gesù nella sua storia, capita al suo regno nella nostra storia. Sono parabole che tracciano la storia di Gesù: seme che produce vita attraverso la morte, lievito che agisce solo nel nascondimento!
Scusate, ma per saper vedere questo e accettare questo nella nostra vita: ci vuole coraggio, tenacia e perseveranza. Altro che storie. Non ci vuole coraggio a fare la guerra, ci viene spontanea, ci vuole coraggio a fare la pace. La guerra è solo frutto di paura, la pace è scelta.
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