Non mi faccio cristiano, diceva Ignazio Silone, perché mi sembra che i cristiani non attendano nulla. Come potremmo attendere qualcosa quando siamo pieni di noi stessi? Come potremmo attendere Colui che da ricco che era si è fatto povero, umiliò se stesso fino all’obbedienza e all’obbedienza della croce? Colui che vive tale umiltà nel mistero del Natale? Cosa possiamo ancora attendere noi che siamo idropici, talmente pieni di noi stessi da non lasciare alcuno spazio libero al silenzio dell’amore, alla silenziosa presenza del Padre in noi? Siamo talmente pieni di noi stessi da non avere più spazio al dono della Vita. Siamo talmente pieni da essere impossibilitati ad entrare per la porta stretta del dono ricevuto e amato.
Mi sembra che la via dell’umiltà sia la via maestra. L’idropisia del nostro orgoglio non ci rende capaci di passare per la porta stretta della vita ricevuta in dono. Ci riporta al peccato delle origini, al peccato di Adamo, al peccato dell’orgoglio che ci vuole rendere simili a Dio grazie alle nostre forze, cosa impossibile, anziché accogliere il dono della vita di Dio in noi che ci rende simili a Lui per dono.
Lui guarda all’umiltà come luogo privilegiato per fare crescere la vita. Ha guardato all’umiltà della sua serva Maria e per questo lei è stata riempita di misericordia generando l’Emmanuele all’umanità.
È difficile credere. Ci riusciamo a credere in teoria al massimo, ma nella vita come si fa a credere e ad agire con umiltà? Agire in questo modo è ritenuto da noi una svalutazione della nostra esistenza. Per Dio agire in tale modo significa che noi stiamo fermi, riceviamo in dono il seme della Parola seminato in noi dal Seminatore, con la coscienza che il seme seminato sul terreno dell’umiltà è seminato in terreno buono: lì può portare frutto.
Il terreno dell’umiltà è il terreno buono perché è terreno pieno di humus, terreno umano. Tale terreno è come un grembo pronto ad accogliere il seme per potere germogliare, per potere essere incinto di vita e partorire di conseguenza vita. Tale terreno è terreno buono per ricevere il lievito che fa lievitare tutta la pasta della nostra esistenza. Ma come si fa a crederci con le nostre scelte, con i nostri orientamenti? Come si fa?
Vivere l’humus del terreno buono dell’umiltà significa avere presente la nostra mancanza di umiltà. È importante chiedere al Signore che ci doni il suo Spirito perché possiamo essere guariti dall’idropisia del nostro orgoglio. Abbiamo bisogno di snebbiare il nostro cervello, e il nostro cuore, dai nostri deliri di onnipotenza. Così avremo uno sguardo limpido capace di vedere Dio nella nostra storia, nella storia. Così ritorneremo a credere che l’umiltà è la nostra vera identità di uomini pieni di humus. Nell’umiltà, specchiandomi, vedrò il volto di Dio come lo vedrò sul volto del fratello.
Sappiamo che essere umili scegliendo l’ultimo posto porta in sé l’essere chiamato col nome di amico: amico passa più avanti! Dio è amico dell’umile, perché l’umile è terra buona dove il seme della Parola può essere accolto e germogliare. Gesù è l’umile, il povero, il piccolo semplicemente perché è amore: questa è la vera grandezza sua a cui siamo chiamati.
Quante volte ci siamo sentiti dire: uomo diventa ciò che sei. Ma cosa siamo se non humus? Dio ama ciò che siamo, cioè humus, non aria fritta e autoesaltazioni di ogni genere che germinano grazie alla negazione della verità di quello che siamo. La negazione di quello che siamo, grazie all’idropisia del nostro orgoglio, porta alla rovina rendendoci incapaci di entrare per la porta stretta, vale a dire di sapere accogliere il dono della vita che nessun figlio si può dare, perché il dono della vita viene solo da una Madre e da un Padre.
Noi se siamo sani, cioè umili, possiamo mangiare il Pane della vita e crescere nella vita. Una persona malata, idropica nel suo orgoglio, non può mangiare l’umile pane, ha bisogno di cibi raffinati che esaltano l’immagine tronfia che ha di sé, ma non la alimentano per la vita. Il contadino capisce il mistero del seme; la donna che impasta la farina capisce il mistero del lievito; l’umile capisce il mistero di Dio.
Dio vuole umiliare chi si innalza non per castigo, ma per servizio all’umanità. Dio vuole umanizzare la nostra tendenza a disumanizzarci. Dio vuole la creatività, il variare dei colori, la diversità delle lingue, l’unicità della persona che è figlia e fratello. Noi continuiamo a volere costruire la torre di Babele per uniformare tutti, per eliminare le varie lingue, per globalizzare la nostra nefandezza distruttiva del pianeta.
L’umanizzazione che Dio ci dona attraverso l’umiliazione è invito ad intraprendere la strada dell’umiltà. Anche nelle nostre democrazie dove non se ne può più del fatto che chi è ricco possa essere eletto, e non un degno poveraccio che vive la sua umiltà come fecondità di vita. Non se ne può più di cardinali e curiali che danno contro un Papa perché invita continuamente la sua chiesa all’umiltà e alla povertà. Non se ne può più di continui richiami moralistici e teologici che non dicono più nulla a nessuno e sono usati solo per assicurare potere sulla gente, sulla comunità cristiana.
Signore, insegnaci l’umiltà come via per divenire tua dimora, tempio dello Spirito, umanamente fratelli e sorelle dei tuoi figli. Rendici umili perché, guariti dall’idropisia del nostro orgoglio, possiamo diventare accoglienti del seme della vita che è Gesù Parola incarnata. Rendici cioè capaci di lasciare che il seme caduto in terra possa morire al suo orgoglio e possa nel nascondimento umile della terra morire e germogliare. Oggi, non domani. Rendici ancora capaci di attesa del tuo dono di vita perché in attesa possiamo ritornare ad essere cristiani, discepoli del Signore della Vita.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli
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