Siamo ancora qua, con questa parabola infinita che ci parla di noi.
Siamo abituati ad evidenziare lo sbaglio del figlio minore che uccide il Padre, pur di avere ciò che è suo. La sua è una ricerca di libertà. La sua è ricerca di vita. Il suo è un sogno, un desiderio di vita, ma sbaglia. Consuma la vita e si ritrova coi porci, incapace di prendersi le carrube di cui loro si nutrono.
Riusciamo anche ad evidenziare abbastanza bene, anche se magari con più simpatia, lo sbaglio del figlio maggiore. È fedele, fa tutto, ma non capisce nulla di amore. Pensa di potersi conquistare l’amore, l’amore del Padre, facendo il figlio obbediente. È la nostra tendenza farisaica che viene a galla e che uccide l’amore. Pensiamo di potercelo comprare questo amore. Siamo convinti che pagandolo con la nostra fedeltà, non ci potrà essere negato. Vogliamo conquistare, come il figlio maggiore, la benevolenza del Padre. È l’atteggiamento di Simone il fariseo che sa che quella è una prostituta e che, di rimando, pensa di potersi comprare l’amore di Dio con la sua giustizia. Il suo è un meretricio a tutto tondo. La donna, che lui ritiene essere meretrice, è accolta e perdonata non perché fa le cose giuste ma semplicemente perché ha molto amato.
Noi, a seconda della nostra età e della nostra condizione sociale e religiosa, abbiamo maggiore stima e simpatia per l’uno o l’altro figlio ma, come loro, non capiamo nulla né di amore né di libertà di amare. Pensiamo alla libertà come possibilità di fare quello che vogliamo e di scegliere posti e luoghi dove recarci; pensiamo alla libertà come fedeltà ai nostri doveri. Mai ci sfiora il pensiero di credere che l’unica vera libertà è vivere quanto la vita ci dona con amore, con gratuità.
Ma forse la convinzione che abbiamo veramente in cuore non viene mai a galla. Noi siamo convinti che chi sbaglia tutto è il Padre: noi non avremmo mai fatto come Lui. Cosa ha ottenuto dando al piccolo tutto quello che gli spettava? Uno che non vive la libertà e uno che non capisce nulla dell’amore del Padre, anche quando torna dai porci e si proclama peccatore e schiavo: “trattami come uno dei tuoi servi”. Possiamo anche chiederci cosa capirà mai della super festa imbandita dal Padre: probabilmente nulla. Non dice più nulla, scompare dalla scena.
Cosa ottiene il Padre andando sulla soglia di casa per parlare col maggiore che non vuole entrare? Solo recriminazioni di uno fedele ma che non ha capito nulla della centralità della relazione di amore. Un meretrico che era convinto, come siamo noi, di avere comprato il Padre coi digiuni, coi sacrifici, con le rinunce, con il pesce al venerdì di quaresima, uno che fa bene i presepi mostrando tutta la sua compassione per una statuetta di legno. Una compassione direttamente proporzionale con la mancanza di compassione per chi bisogno veramente ha.
Forse è tempo di lasciare emergere la convinzione che questo Padre non ha capito nulla della vita, che ha sbagliato tutto, che non è stato capace di educare i propri figli. Questo Padre che è anche Madre perché esprime l’immagine di Dio che ci crea maschio e femmina, di un Padre che vive tutta la passione e la tenerezza della Madre. Un Padre che vive l’amore impossibile che solo una Madre sa esprimere.
Ebbene cosa ottiene questo Padre? Nulla! La sua educazione è finita ed è fallita. Forse questa parabola evidenzia come non mai quello che viviamo ogni giorno: un fallimento nelle nostre relazioni. Tra padri e madri, tra genitori e figli, tra figli che si accusano di ogni nefandezza, tra figli e padri e madri che non riescono a venire a capo di nulla.
Forse è vero che il Padre nostro dei cieli sbaglia tutto, ma sbaglia per un eccesso di amore. È Padre che non è attento ai risultati: non gli interessa lo stipendio che porta a casa e la buona riuscita dei suoi figli. È Madre che non molla mai la relazione coi suoi figli ed è esagerata nell’amore. Ma è Padre e Madre libero perché ama, e amante perché libero. È Padre e Madre che soffre e che non può fare diversamente perché non può abbandonare i suoi figli distanti anni luce da Lui: dammi l’eredità che mi aspetta e così uccide la Madre; ho sempre fatto tutto quello che mi hai comandato e così uccide il Padre. Lui/Lei continuano a stare alla finestra in attesa del ritorno di chi li ha uccisi. Allo stesso modo continuano ad andare sulla soglia ad invitare ad entrare nella casa dell’amore dove si fa festa perché chi era perduto è tornato e chi era morto è ritornato a vivere.
Potessimo imparare a sbagliare come il Padre e la Madre Dio: saremmo più liberi, non dipenderemmo più dai risultati, non avremmo più timore della distanza che sempre si crea fra di noi anche quando ci cerchiamo.
Il Padre fa a pezzi la sua vita e la consegna in mano a questi fedifraghi, cioè a noi. Così la Madre comincia a soffrire appena mette al mondo il figlio perché non molla mai e continua a volere ricomporre un amore frantumato da una ribellione o da una fedeltà, poco importa. Amore frantumato perché non capito, incompreso, sfruttato, approfittato dalla nostra becera schiavitù.
Forse non c’è niente da fare: questa è la vita. Ma la vita del Padre e della Madre continuano a non lasciare perdere perché non posso smettere di amare, al di là di ogni risultato e di ogni vicinanza di amore libero.
Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.
Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore
Vangelo del giorno:
Lc 15, 1-3. 11-32
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.