p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 30 Marzo 2021

L’esperienza del popolo di Israele, nella storia della salvezza, è un continuo richiamo da parte di Dio alla fedeltà; è un continuo ritorno a Dio da parte del popolo; è un continuo tradimento da parte del popolo. Fin dalla Genesi troviamo questa vicinanza lontananza da parte del popolo nei confronti di Dio. Nell’Esodo il popolo nel deserto si lascia condurre e mormora, accoglie la Legge ma allo stesso tempo si fabbrica un vitello d’oro, accetta la sfida con gli Egiziani ma poi teme di essere spazzato via dagli stessi e Dio interviene aprendo le acque del mar Rosso; ha fame, chiede carne, gli sono date le quaglie e la manna e l’acqua, ma ancora mormora e ribadisce che sarebbe stato meglio rimanere schiavo in Egitto dove trovava sempre da mangiare. Passa 40 anni nel deserto, arriva alla terra promessa e ancora ha paura: non vuole entrare, deve essere quasi spinto a forza per entrare in quella terra che Dio diede ai loro padri, ad Abramo ad Isacco e a Giacobbe!

Si stabilisce in quella terra e Dio fa sorgere dei Giudici in mezzo al popolo: Giudici che continuamente richiamano il popolo alla fedeltà, Giudici che muoiono, e, sempre, il popolo si allontana dal Signore. Quante volte i profeti richiamano il popolo alla fedeltà, al ritornare a Lui con un cuore contrito ed umiliato? Il popolo ritorna per un po’, ma poi si allontana nuovamente: questo popolo dalla dura cervice!

Anche nel Nuovo Testamento ci imbattiamo nei discepoli che abbandonano Gesù; in gente che crede ma che poi soffoca la parola che è stata seminata in loro. Oggi ci viene presentata la figura di Giuda che tradisce Gesù, la figura di Pietro che rinnega Gesù. Erano gli apostoli che vivevano fianco a fianco con Gesù. Lo hanno tradito, lo hanno rinnegato, sono fuggiti via lontani da lui presi da timore e da spavento.

È la storia della salvezza, è la storia della prima comunità che viveva con Gesù, è la storia della Chiesa. Nell’ Annunzio Pasquale che verrà cantato nella veglia Pasquale, il Sabato santo, la Chiesa viene definita sancta et meretrix, santa e puttana. Questa è una verità che da sempre accompagna la nostra esistenza di chiesa e di credenti. La nostra vita è infarcita di fedeltà e di infedeltà c’è poco da scandalizzarsi. Chi non fa esperienza profonda e continua del proprio peccato è destinato a scandalizzarsi inutilmente dei peccati altrui vedendo la pagliuzza nell’occhio del fratello e non la trave nel proprio occhio.

Noi siamo abituati, come diceva p. Dehon, a riprenderci un po’ alla volta quello che negli slanci di generosità abbiamo donato a Dio e ai fratelli.

Non scandalizziamoci dunque se in noi c’è un Giuda che non è fedele all’amore, non scandalizziamoci se in noi c’è un Pietro pronto a rinnegare l’Amore. Chiediamo il dono delle lacrime: come Pietro piangiamo la nostra incapacità di fedeltà e volgiamo lo sguardo al volto del Cristo che nel suo sguardo concentra tutta la sua misericordia.

Uno di voi mi tradirà! Vi sono vari tipi di tradimento. Mi rinnegherai! Vi sono vari tipi di rinnegamento. Il vangelo di quest’oggi ci riporta alla realtà di Gesù che si turba perché vede quanto sta accadendo, si accorge che qualcuno dei suoi, forse sarebbe meglio dire tutti, prende strade diverse da quella della sequela.

Credo che uno dei tradimenti nostri sia quello di pretendere di essere pagati più dell’accordato perché abbiamo lavorato di più degli altri. I lavoratori della prima ora vedendo che ricevevano dopo gli ultimi e ricevevano la stessa paga, si ribellano e si offendono. Ciò che li offende è che la sovrabbondanza con cui Dio paga, è calcolata ed ha uno scopo ben preciso: quello di fare parità là dove loro fanno differenza.

Loro avevano creato un’area di rispetto e di differenza, rispetto agli altri, grazie al loro lavoro. Il padrone abolisce quest’area e fa parità. Con le loro opere, abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo, vorrebbero ottenere un rapporto privilegiato col padrone. È l’atteggiamento di ogni subalterno nei confronti del superiore; è l’atteggiamento dei lavoratori nei confronti del datore di lavoro quando questo c’è; è l’atteggiamento inverso del quando il gatto manca e i topi ballano.

Questo nostro modo di relazionarci nel quotidiano, pretendiamo di applicarlo anche a Dio. Siccome Dio non ci sta a queste relazioni privilegiate perché conquistate col proprio lavoro, allora ci lamentiamo e ci ribelliamo. Ma il padrone non abolisce la relazione: chiama amico il portavoce dei malcontenti. Ciò che abolisce è ogni privilegio nella relazione. Il padrone guarda con lo stesso amore i buoni a nulla e i buoni a lavorare. La sua tenerezza si estende a tutte le creature.

La conclusione della parabola è che gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi. Questa affermazione manda all’aria i nostri schemi di sovrabbondanza e misura, i nostri schemi di giustizia retributiva. Dio fa una constatazione: chi si dà troppo da fare corre il pericolo di volere essere primo e per questo di diventare ultimo; corre il pericolo della meritocrazia, del volersi conquistare ciò che è frutto solo del dono.

Questo è uno dei nostri grandi tradimenti che ci portano a baciare Cristo tradendolo: è il bacio delle nostre buone opere fatte per tradirlo, per dirgli che non abbiamo bisogno di lui, per affermare che noi siamo giusti. Questo è la nostra opera meritoria che ci porta a dire di volerlo seguire dando anche la nostra vita per lui, ma rinnegandolo con le nostre opere che ci portano ad inorgoglirci.

È il tradimento che nasce dal fare vedere a Dio che noi abbiamo lasciato tutto per te, chiedendo che cosa ne avremo in cambio; noi che abbiamo sopportato il peso della giornata, non ci darai un semplice soldo come tutti gli altri.

Quando Pietro, cioè noi, cioè la Chiesa, cioè i preti, cioè il Papa e i cardinali, cioè i religiosi, cioè i laici, rinunziamo a tutto ci tiriamo addosso una quantità di vesti, di proprietà, di diritti, di insegne, di protocolli, di reami. Mentre quando non rinunciamo a nulla e semplicemente andiamo a pescare, come Pietro dopo la risurrezione, con le proprie vecchie reti, dobbiamo spogliarci delle vesti per compiere il duro lavoro del pescatore.

A noi la scelta tra il volere essere i primi col nostro lavoro e con lo sbandieramento della nostra rinuncia, oppure semplicemente andare a pescare lasciando le nostre vesti: mezzi nudi, tutti sudati e senza alcuna pretesa se non quella di riuscire a gettare le reti dalla parte destra secondo il mandato del Signore. Un gettare le reti che significa seguirlo nella via della passione e non sulla via del tradimento delle nostre buone opere.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM

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