Quale è l’immagine che io ho di Dio? Chi è Dio per me? Normalmente Dio rischia di essere la proiezione dell’immagine che noi abbiamo di noi stessi, una immagine che noi proiettiamo su Dio perché questo Dio non ci scomodi, ci lasci in pace e confermi quanto noi già siamo.
Se siamo dei violenti vedremo un Dio vendicatore. Se siamo giudici degli altri ad oltranza, penseremo a Dio come un giudice giusto che risponda secondo i meriti e i demeriti di ognuno. Se siamo razzisti penseremo ad un Dio che non considera quelli dell’altra razza. Se siamo indifferenti, il nostro Dio sarà l’indifferenza. E ognuno metta del suo.
Ciò che è importante per la nostra esistenza è che noi abbiamo il coraggio ogni giorno di rivedere, di ripensare, di rivivere chi noi siamo e chi è Dio in realtà per noi. La purificazione dell’idea di Dio, che è strettamente legata alla purificazione dell’idea che noi abbiamo di noi stessi, è cosa quotidiana, è cosa mai definitiva, è cosa di colui che si sente pellegrino continuamente in cammino e mai arrivato.
Il capitolo precedente del vangelo di Luca terminava dicendo che “buona cosa è il sale, ma se anche il sale perde il sapore, con che cosa verrà salato? Non serve né per la terra né per il concime e così lo buttano via”. E cosa sia il sale della nostra esistenza ci viene proposto dal brano di vangelo odierno.
Il sale per la nostra esistenza è dato dal nostro convertirci continuamente. Ma detto così non ci direbbe nulla di nuovo e non sarebbe niente di bene per la nostra poca propensione alla conversione e per la nostra poca capacità di metterci veramente in cammino. Ciò che è sale che dona sapore è il fatto che la nostra conversione discende come fiume in piena dal cuore di Cristo trafitto, dal fatto che Dio Padre si converte a noi.
Noi ci allontaniamo continuamente e Lui che fa? Sta ad aspettare che noi torniamo? No, viene a cercarci. Uno fra cento, una fra dieci. Ha il coraggio di abbandonare 99 pecore nel deserto per andare alla ricerca di quella perduta. Fa questo rischiando la perdita delle 99. E fa festa per quella pecora ritrovata, per quella pecora perduta e ritrovata. Ma è lui che è andato a cercarla, non ha atteso che lei ritornasse.
Quale Dio pensiamo noi? il nostro Dio, probabilmente, di fronte ad un fratello traviato e perduto, comincerebbe ad alzare il tiro delle proprie pretese. Cominceremmo a giudicare quel fratello elencando tutte le sue magagne e tutti i suoi errori e tradimenti. Poi ci siederemmo stando ad attendere la reazione dell’altro. Cercando di scorgere ogni piccolo passo erroneo che confermi la nostra falsa concezione del fratello. O meglio: concezione vera secondo gli uomini che sanno tutto quello che l’altro ha fatto e che usano quanto sanno per puntare il dito verso il fratello; ma concezione falsa secondo Dio al quale interessa il bene dell’uomo. Per questo il nostro Dio non sta alla finestra in attesa che il perduto ritorni. Lui sa che non ha la forza e la capacità di farlo. Noi chiediamo al traviato, colui che è già debole e in difficoltà, una reazione forte, un cambio di rotta, che nessuno di noi forti, perfettamente farisei saremmo capaci di fare. Figuriamoci se lo può fare uno che è affaticato dalle sue scelte sbagliate.
Il sale che dona sapore è una vita spesa andando alla ricerca della pecora perduta e della moneta persa. Una vita spesa in tal modo è vita convertita al fratello bisognoso, ed è vita di Dio in noi, Lui il grande convertito ai peccatori. Una vita spesa in tal modo è vita che ha sapore, ha sapore di buono, ha sapore di pane caldo appena sfornato di fresco: il pane lo si inforna e lo si sforna ogni giorno.
Una vita così spesa è vita di conversione verso il bisognoso, è vita che lascia alle spalle ogni pretesa di giudizio, non perché sia ingenua e non conosca la realtà, ma semplicemente perché ciò che gli interessa è altro, è la conversione del fratello. Quando ciò che ti interessa è la conversione dell’altro lasci tutto, lasci le pecore nel deserto vai alla ricerca della perduta, te la carichi sulle spalle quando la ritrovi, non la rispedisci a casa a calci nel sedere, e fai festa, non la metti in castigo.
Se non abbiamo il coraggio di questo passo, altro non ci rimane che essere scribi e farisei, esattori delle tasse degli errori e dei peccati altrui, che invece di ascoltare Gesù Parola vivente e prendere sapore dalla sua sapienza, inaridiscono nel loro mormorare contro Dio perché Gesù “accoglie i peccatori e mangia con loro”. Un bel modo di rovinarsi la vita, e di rovinare anche quella del prossimo, inacidendosi sempre più in inutili soppesi di meriti e demeriti senza mai gustare la gioia e la bellezza della conversione propria altrui, grande dono quotidiano del nostro Dio.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM