Dove eri Tommaso quella sera? Quando Gesù è venuto nel “luogo dove si trovavano” i discepoli, dove ti trovavi tu? Le porte erano chiuse “per timore dei Giudei”, e tu dove eri? I discepoli erano intimoriti e si erano rinchiusi nel cenacolo, e tu dove eri? Eri a zonzo. O forse eri l’unico che non temeva i giudei e per questo ti muovevi liberamente? Quella sera in cui Gesù si è presentato nel cenacolo sbarrato tu eri altrove, non ti sei lasciato rinchiudere dentro. I discepoli erano chiusi e Gesù è entrato e ha donato la sua pace.
Tu Tommaso, “chiamato Didimo”, non hai creduto alla loro parola come loro non avevano creduto alla parola delle donne che erano state al sepolcro. Tu non hai creduto alla parola di amici che erano, dopo avere visto il Signore, tornati all’antico mestiere del pescatore. Tu Tommaso, chiamato Didimo, volevi vedere i segni della passione per credere in Lui, per non cadere nella illusione di un fantasma. Tu Tommaso, nostro doppio, nostro gemello. Di te noi siamo gemelli. Tu non hai creduto senza vedere ma ci lasci come dono del Signore una beatitudine: “Beati quelli che non avendo visto crederanno”.
Un credere che passa sul mare in tempesta della incredulità. Incredulità che è sempre via a Dio, che sempre può diventare via ad una saggezza religiosa che da troppo manca alle nostre comunità troppo prese dal buon senso e dallo spirito del mondo del denaro. Grazie a Dio il tuo non si presenta a noi, caro Tommaso, come un cammino lineare. Tu hai detto ai discepoli: “Andiamo a morire con Lui”, quando voleva andare da Lazzaro morto. Tu spingi i tuoi confratelli ad uscire allo scoperto. Tu esci allo scoperto mentre loro se ne stanno rinchiusi nelle loro paure che solo il risorto può trapassare.
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Tu Tommaso ci ricordi che il credere è fatica: non ha nulla di miracolistico. I discepoli avevano paura: stavano rinchiusi e venendo a dirti che hanno visto il Signore. Hai ragione tu, a non fidarti. Io non mi sarei fidato di gente siffatta! Lo sai che stanno cercando una scappatoia che non è la via vera. Per questo non puoi accettare la testimonianza di gente che aveva paura della propria ombra. Tu sai che il Risorto non ha perso e mai perderà i segni della Passione, i segni del suo dono totale. Tu vuoi toccare questo dono e credere grazie al dono che il Signore decide di nuovo da farsi.
E poi, e poi la tua incredulità diviene un regalo agli altri: possono vederlo un’altra volta. Tu lo obblighi a ritornare per te. Perché è venuto quando tu non c’eri? Forse una coincidenza? O forse la bellezza di un mistero che manifesta ad ogni uomo la via della fede che mai abbandona la via del dubbio e dell’incertezza. Via del dubbio che solo attraversandola diventa via di fede.
Gesù rimprovera Tommaso per la sua incredulità, come rimprovererà tutti i discepoli per la loro incredulità. Incredulità che diventa luogo di incontro, come diventa luogo di incontro la fragilità di ognuno di noi. La nostra fragilità, il nostro peccato, non è luogo di castigo o di rimbrotti: questo è buon senso umano che non ha mai educato nessuno alla fede vera. Il nostro peccato, la nostra fragilità è luogo di incontro con Dio misericordioso, col suo Cuore d’amore. Un incontro dove nasce la vera fede. Un incontro che lascia a bocca aperta mentre il nostro cuore esala l’ultimo fiato per sussurrare “Mio Signore e mio Dio”.
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La comunità dei discepoli era fallita: a lei Gesù si presenta con la sua pace. Uno dei discepoli aveva venduto Gesù, un altro lo aveva rinnegato, gli altri sarebbero fuggiti. Gesù non riesce a tenerli insieme. Dalle macerie di questa comunità dispersa viene il dono della pace del Risorto.
Tommaso, nostro gemello. Tu che eri assente quella prima sera, la sera del primo giorno della settimana, noi ti sentiamo fratello gemello. Anche noi spesso siamo assenti nella vita di ogni giorno, quando il Signore ci incontra lungo la via con la sua pace.
Tu non hai creduto ai tuoi amici e ai tuoi compagni, eppure tu li conoscevi bene. Forse proprio perché li conoscevi bene non te la sei sentita di credere alla loro parola, parola di gente poco credibile e impaurita dagli eventi accaduti. Forse loro, come noi, non avevano la faccia di gente credente, di gente credibile: non ti davano l’impressione di gente che l’avevano incontrato: continuavano a starsene chiusi dentro.
Non avevano la faccia di chi si è sentito alitare lo Spirito, quello Spirito che spinge e rivoluziona, che mette in cammino fuori dal chiuso sicuro di un cenacolo posizionato in riva al mare da attraversare. Solo se con il coraggio di uscire dall’aria ammuffita dalla sicurezza di un cenacolo chiuso, nella libertà del pieno sole, la testimoniata può essere portata e accolta. Caro Tommaso, nostro caro gemello!
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