p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 3 Luglio 2022

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Il vangelo di oggi è, invece, una provocazione per ogni cristiano. Se i discepoli (72, quante erano le città pagane) sono mandati in ogni città e luogo (segno della missione universale): significa che non ci può essere né tempo, né luogo, né occasione che non debba essere evangelizzato e che non debba essere travolto dalla pace del Cristo. Tutto il mondo è messe, perché tutto il mondo cammina verso la casa del Padre.

Il primo atteggiamento utile per questa missione è quella dell’invio: Gesù designa e invia. Accanto a questo atteggiamento c’è la preghiera al Padre. Pregare significa chiedere al Padre che mandi operai nella sua messe. Chiedere questo significa che lui riempia del suo Spirito missionario ognuno. Riempire ogni cristiano del suo Spirito significa che ognuno di noi può accogliere la chiamata. Accogliere questa chiamata ad essere mandati significa mettersi in viaggio ed essere coscienti e convinti che ogni posto del nostro vivere è luogo di messe, è luogo di mietitura, è luogo di missione.

Non conosciamo il porto dal quale siamo partiti né sappiamo perché ci ritroviamo su una barca, ma siamo in viaggio. La barca è salpata, la vita è iniziata. Inviati, buttati o gettati, di fatto siamo qui a solcare queste onde. Timorosi e urlanti, siamo entrati nella vita. Non abbiamo neppure chiesto di essere accolti. Questo mondo, fatto anche di violenza, di incomprensione e di dolore si è rivelato tutto sommato affidabile. In un modo o in un altro ho trovato posto, mi sono collocato sulla barca.

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Ci portiamo però nel cuore sempre un anelito, il desiderio di riconoscere quella voce che ci ha chiamato alla vita, vorremmo ricordare il luogo dal quale siamo partiti.

Chissà, forse quella voce che oggi, in questo testo del Vangelo, ci spinge a riprendere il viaggio della vita, rinnova in noi la memoria di quell’inizio: «diceva loro»! Il verbo è all’imperfetto, indica un’azione che non si è conclusa, è la voce che ancora continua a dirci come stare nel viaggio.

Siamo inviati a due a due, mai senza l’altro. Non esistiamo mai isolati, soli, autonomi o autosufficienti. Ogni volta che ci arrotoliamo sul nostro io, dimenticando l’altro, tradiamo la nostra identità. Quel «due» dice la nostra realtà: non siamo mai slegati dal mondo. Le mie scelte non sono mai soltanto mie, coinvolgono sempre un altro. Non viaggiamo mai da soli: l’altro è colui che può testimoniare a mio favore. La mia parola è credibile perché è condivisa da un altro. Il numero due è il germe della comunità: nasciamo già come parte di un insieme. La comunità non è qualcosa che costruiamo a posteriori, siamo fin dall’inizio parte di un gruppo.

Veniamo in questo mondo fragili, infanti (incapaci di parlare), deboli perché assolutamente incapaci di rivendicare i nostri diritti: siamo agnelli in mezzo ai lupi. Il mondo potrebbe fare di noi qualunque cosa. Iniziamo il viaggio senza alcun potere davanti alle tempeste della vita.

Gesù continua a mandarci così nella vita: non diventate violenti! Offrite una parola debole, una parola che interpella senza imporsi, una parola che invita senza pretendere. Il discepolo di Cristo non può mai diventare lupo, deve imparare a mantenere la vulnerabilità dell’agnello. L’Agnello non ha niente. È senza alcuna sicurezza né economica, né sociale. Siamo inviati come agnelli, come dei poveri Cristi, poveri perché l’immagine di Cristo che noi riusciamo a trasmettere è poca cosa; Cristi perché Cristo in questa immagine povera viene esaltato nell’amore. Il fine di questa missione non è il successo ma la gioia di entrare nella comunione.

In queste situazioni di vita che cosa dobbiamo fare?

Siamo chiamati a parlare, a parlare di Cristo ma soprattutto a parlare come Cristo. Scrutare i sentimenti di Gesù per dire l’annuncio della Buona Novella.

Siamo chiamati inoltre a dimorare presso il fratello, uomo di pace. Nel dimorare siamo chiamati ad entrare nel cuore dell’altro poco alla volta; siamo chiamati a conquistarlo per farci aprire la porta perché nella povertà del nostro entrare possa essere raggiunto da Cristo. Dimorare chiede amicizia e intimità. Quante persone nella nostra giornata manifestano questo desiderio che qualcuno possa dimorare presso di loro, o possa andare a trovarle, o possa rivolgere loro una parola di pace. Dimorare significa anche rompere con delicatezza e affetto queste barriere che noi il più delle volte ci creiamo.

Siamo chiamati a mangiare insieme. Noi difficilmente mangiamo con gli sconosciuti, e se questo avviene c’è un motivo. Mangiare insieme è un segno di amicizia e di ospitalità. Purtroppo in tante occasioni questo momento diventa lavoro, un pranzo di lavoro; oppure diventa una cosa da sbrigare in fretta, non un segno di familiarità e di amicizia.

Mangiare con il fratello fa parte dell’annuncio. Essere come Cristo: le cose più serie Cristo le ha fatte a tavola: l’eucaristia, il perdono, l’annuncio, la conversione.

Le relazioni possono nutrirci. Dice Gesù: mangiate quello che vi sarà offerto. È inutile cercare quello che non c’è. In ogni relazione, in ogni casa, possiamo trovare un cibo che nutre, ma sarebbe inopportuno chiedere quello che non c’è. In ogni casa può capitare anche di trovare un malato da guarire: siamo inviati per prenderci cura dell’altro non per ucciderlo con le nostre pretese.

La nostra missione è la stessa di Gesù: come agnelli in mezzo ai lupi: col dire, col dimorare, col mangiare, col prendersi cura. Per procedere nel cammino dà alcune indicazioni: bisogna liberarsi dei pesi: nel viaggio della vita non possiamo portare bisacce, non possiamo portarci dietro i pesi di tutte le situazioni della vita che infiliamo come pietre nelle nostre valigie. La bisaccia è il segno di chi non riesce a lasciar andare, ma anche di chi non si fida.

Il viaggiatore ideale non porta neppure i sandali ai piedi, perché è un uomo ostaggio della Parola. Solo l’uomo “libero” indossava i sandali. Gesù chiede di lasciarli, perché non portiamo noi stessi ma la Parola che un altro ci consegna. L’identità che siamo chiamati a scoprire è quella di servitori della Parola per riconoscere il senso del viaggio.

Se vuoi portare a termine il viaggio non puoi fermarti in ogni porto. È necessaria una libertà dai legami. Occorre imparare a congedarsi, ma anche a sapersi fermare: restate in quella casa: immagine dell’altro. La vita ci porta a entrare nella casa degli altri, nelle loro vite. Possiamo entrare con delicatezza, chiedendo il permesso, oppure possiamo vandalizzarle, occuparle, spadroneggiare.

Come Gesù ha appena sperimentato, lungo il viaggio sperimenteremo il fallimento, ci sarà anche chi non vuole accoglierci. Nel viaggio della vita, i discepoli, vivranno anche l’esperienza del rifiuto. Non è un dramma, ma un momento della vita.

Nel viaggio della vita attraverseremo tanti luoghi, probabilmente saremo chiamati ad attraversare il luogo della perversione e dell’ambiguità; i luoghi degli affari, dove le relazioni diventano occasione per sistemare i propri conti con la vita, dove ci sentiremo sfruttati e defraudati.

Comunque sia andata, i discepoli tornarono da Gesù pieni di gioia. C’è qualcosa in questo viaggio della vita che sembra dirci che ne vale la pena. C’è un momento in cui occorre fermarsi e rileggerlo. Ma soprattutto possiamo scoprire che questo viaggio ha un nome, un nome scritto nel cielo, scritto da sempre, un nome che è il senso che non ci ha mai abbandonato lungo la strada.

AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM