Mi sono soffermato sulla professione di fede di Natanaele: “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele”. Che dire di più di questa professione di fede, che dire della stessa professione di fede. È la sintesi della promessa messianica: a noi è stato dato un Figlio, un Figlio a noi è nato, è il Figlio di Dio che è venuto a salvarci non dai Romani ma dalle mani del Maligno.
È interessante notare come Natanaele che non credeva che da Nazareth potesse venire qualcosa di buono, appena Gesù lo riconosce, riconosce in Gesù il Messia. È il moto essenziale dell’essere riconosciuti che ci porta a riconoscere. Un riconoscere che è ben più di un documento di riconoscimento, un documento identificativo. È un ri-conoscere che è un conoscere di nuovo. Significa che ci si era già conosciuti, se ci ri-conosciamo. È un ri-conoscere e un conoscere non certo superficiale.
In questa seconda parte del primo capitolo del vangelo di Giovanni mi pare che la dinamica dei vari movimenti sia basata sull’incontro. Giovanni Battista vede Gesù e indica ai suoi due discepoli che Lui è l’Agnello di Dio. I due discepoli cominciano a seguire Gesù e Gesù si ferma per incontrarli e nell’incontrarli con una domanda nasce il comando: Venite e vedrete, dove abito! Ancora: Andrea incontra suo fratello Simon Pietro e gli annuncia l’incontro col Messia. Lo porta da Gesù il quale gli predice il suo essere pietra e gli dona il nuovo nome: Pietro. Gesù, il giorno dopo, trova Filippo e lo invita a seguirlo. Filippo trova Natanaele e gli parla dell’incontro che ha avuto con Gesù. Di fronte alle rimostranze di Natanaele, un giusto in cui non vi è falsità, gli dice: Vieni e vedi! Che è lo stesso invito che Gesù aveva rivolto ai due discepoli di Giovanni che lo avevano seguito, quasi spiato, di lontano.
Questi incontri che diventano tramite di una esperienza, sono il dono del quotidiano. Nella giornata Gesù incontra, i discepoli incontrano e da questi incontri nascono relazioni che sono via per comunicare il Cristo e l’esperienza vissuta con Lui a casa sua e per strada. In questi incontri emergono tre verbi imperativi che sono i comandamenti del Nuovo Testamento, che portano a compimento i comandamenti dati da Mosè nella Legge. I comandi sono questi: venite, vedete, seguitemi.
Venite: non state fermi perché il cristiano non può che essere una persona in cammino. Il cristiano è colui che segue il Cristo e il Cristo non abita i templi, il Cristo abita la sua casa e abita, soprattutto, la strada. Questo è simbolo del fatto che il Cristo non può abitare palazzi anche se ben fatti nei nostri presepi. Cristo abita una tenda che non è cosa stabile ma è cosa in movimento. Cammina per strada ma cammina anche e soprattutto dentro di sé. Un cristiano arrivato non è più cristiano è un seduto. Il movimento del seguire diventa importante ed essenziale come movimento interno ed esterno, interiore e esteriore, per potere rimanere in vita e per rimanere in vita da esseri liberi.
Vedete: non c’è molto da spiegare, c’è solo da vedere. È chiaro che questo vedere dipende dal nostro desiderio di capire e di conoscere in senso biblico. Conoscere amando la realtà e non facendo i freddi scienziati che pensano di conoscere i segreti dei cuori e dell’universo semplicemente studiando o inventando le leggi che lo reggono, grazie alle loro teorie. Vedere per conoscere significa tenere in movimento il centro del nostro desiderio non cedendo alla tentazione di sentirci arrivati. La tentazione di sentirci arrivati ci spinge a lamentarci della realtà anziché incontrarla; la rifiutiamo anziché conoscerla; ce ne allontaniamo dicendo che non c’è più nulla da fare. È un movimento creativo che tocca il nostro interesse e la nostra curiosità e ci libera dalla schiavitù della ricerca di sicurezze. Schiavitù che tanto avvelena il nostro quotidiano.
Seguitemi: non è altro che il completamento dell’esperienza dell’incontro. Venire e vedere ci permette di incontrare, seguire è la conseguenza di quello che abbiamo incontrato e amato perché conosciuto come esperienza del cuore. Seguire, nasce da una libertà dove il dono è gratuità e dove l’incontro non ha più bisogno di essere possesso. Non è cosa fatta una volta per tutte, ma è cosa da farsi giorno dopo giorno in un atteggiamento di rinnovo continuo. È darsi la libertà di respirare aria fresca e non bloccarsi su di un’aria viziata data dal nostro chiuderci dentro le mura delle nostre sicurezze, ben poco utili alla vita.
È un desiderio bello quello di divenire ogni giorno sempre più cercatori di verità. Non preoccupiamoci se tale desiderio raramente combacia con quello che siamo e che riusciamo ad essere. Non è quello il punto. Il punto non è che le cose vadano bene ma che io le possa vivere bene per quello che sono nella verità della vita, sapendo che verità non è tanto o solo quello che vediamo ma è anche e soprattutto quello che non vediamo. Quello che non vediamo che siamo chiamati a ricercare e a desiderare non come una cosa magica, non come una cosa miracolosa che ci salva dai problemi della vita, ma come cosa bella e vera che umanizza la nostra esistenza.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli
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